X – Il signor Hood
Era per strada con il suo Diego e passeggiava per le vie di San Lorenzo parlando del più e del meno. Diego continuava a spiegarle quanto fosse difficile quell’esame di anatomia, ma a lei fregava davvero poco. Continuava a guardare l’orologio, tutta agitata, perché in meno di mezz’ora sarebbe andata nella sede di LC della Zona San Lorenzo, a rincontrare tristemente il suo ex e la sua ex migliore amica, e probabilmente anche l’altra sua amica. Aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva saputo che ci sarebbe andato pure Vittorio, che poi si sarebbe visto con Retro dopo la fatidica riunione. In realtà era anche interessata alla loro organizzazione, motivo che la spingeva a presentarsi, ma non apprezzava tantissimo quelle persone. Buona parte di quelli che aveva incontrato erano fin troppo sballati ed estremisti, per non parlare dell’imbarazzo che trovava nello stare affianco a Giacomo, che la trattava come una qualunque dimenticandosi di averle spezzato il cuore, e di Anita che faceva tanto l’amicona non ricordandosi di strusciare con l’ex della sua ex migliore amica. Prima che si fidanzasse, era stata fortunata ad avere un migliore amico come Vittorio, che aveva i suoi prediletti e che lasciasse a lei qualche altro ragazzo. Erano così divertenti, quei tempi! In quel momento invece doveva ascoltare un uomo che non apprezzava nemmeno lontanamente dal punto di vista fisico o sessuale, costretta perché voleva solo realizzare il suo sogno. Sbuffò e disse a Diego – Ti prego, basta. Sei noioso. –
- Ma piccola, io… - Odiava quando qualsiasi uomo la chiamasse piccola, bambola, dolcezza, zuccherino, le parevano dei nomignoli fastidiosi oltre che sminuenti della sua personalità. Perché piccola? Solo perché era una donna ed era bassa? Lei doveva controbattere che la piccolezza poteva essere mentale, e quello era il caso di Diego.
- Quante volte ti devo dire che non mi devi dare questi nomi del cazzo? – sbottò lei, irritata.
- Va bene, stai tranquilla però. –
Passarono il resto di quella mezz’ora seduti su una panchina, mentre lei stava con le braccia incrociate sul petto e lui era tutto dedito a spostarle una ciocca ribelle dal viso, ma ogni volta che ci provava, lei gli dava leggeri schiaffetti sulle mani. Non ce la faceva più, quella farsa era durata forse anche troppo a lungo. Doveva riavere la sua libertà sessuale e soprattutto il suo diritto di scegliere di non avere un partner. In quel momento della sua vita non voleva né lui né nessun impegno che non fosse l’università, la ricerca di un posto in qualche redazione o nella lotta politica. E nel tempo libero avrebbe voluto solo divertirsi: uscire, bere, scherzare con Vittorio e perché no, ogni tanto anche scopare; che poi le sue compagne di corso le avrebbero dato anche della troia ma a lei non importava molto. Aveva ormai una strettissima cerchia di persone da prendere in considerazione, e l’opinione delle restanti erano come se fossero aria… impercettibili.
Ovviamente Diego era fuori da quella cerchia, e presto fortunatamente l’avrebbe mollato senza alcun risentimento. Magari dopo l’estate avrebbe trovato un posto fisso, se non in redazione, anche da qualche altra parte. Forse avrebbe chiesto in qualche libreria di fare la commessa, o le andava bene anche di fare la commessa da qualunque altra parte, ma pur di non avere ancora Diego tra i piedi si sarebbe emancipata dalla sua famiglia. Lidia aveva detto a suo padre quello che lei aveva proposto alla sorella: l’aveva chiamata urlandole contro di essere una comunista e che se avesse detto ancora delle cose del genere non le avrebbe più parlato. Poco le importava del signor Lupini, con cui non era mai andata d’accordo. Da piccola ribelle era diventata una donna ideologicamente in contrasto con lui, e doveva solo accettarlo.
Finalmente quella mezz’ora era scaduta e tornò a casa per andare con Vittorio nella sede. La sede si trovava in un appartamento di Piazza Sanniti. L’appartamento ovviamente era un rottame come qualunque dimora studentesca. Era un bilocale con il tavolo e un piccolo mobile di legno della sala principale, mentre nella stanza più piccola che la affiancava c’erano un divanetto, un mobiletto con dei libri e una sedia su cui si appoggiavano i cappotti. Nella sala principale erano tutti seduti attorno al tavolo, tutti tranne Molotov che osservava dall’alto attentamente i volti dei suoi compagni. Elisabetta non appena fece ingresso riconobbe subito Giulietta, dai lunghi capelli scuri opportunamente pompati sulla testa e poi lasciati sciolti sulle spalle. Era bella, ben truccata, snella ed elegante come sempre. I suoi occhi all’ingiù s’illuminarono alla vista della sua vecchia amica e corse ad abbracciarla. Ne seguirono le esclamazioni di Jim ed Anita che erano seduti accanto. Jim era luminoso nonostante quello fosse un momento di pioggia, tutto vicino ad Anita. Elisabetta pensò che la doveva proprio amare.
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Storie giuste o sbagliate
General FictionRoma, 1996. La diciottenne Silvia, appassionata di arte e dotata di spiccata sensibilità ed intelligenza, per il suo alto senso di responsabilità vive senza essere un peso degli altri ed è in contrasto con sua madre e suo fratello. Stanca di una vit...