Capitolo uno

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Io corro, questa è la mia cattiva abitudine, la peggiore che potessi avere.
Non ho mai amato particolarmente lo sport ma la corsa è qualcosa di cui non posso fare a meno: mi aiuta ad evadere e a prendere delle buone decisioni, o almeno era così.
Corro, corro a perdi fiato, sento quasi i polmoni lacerarsi dopo ogni respiro ma non mi fermo, non ho alcuna intenzione di farlo; percorro più di dodici chilometri senza mai fermarmi, alternando salite a discese, lungo un percorso tortuoso e immerso nella natura, fino a quando non mi porto fuori dal sentiero ritornando sulla strada asfaltata del paese.
Maratea, un piccolo paese della Basilicata, regione ai più sconosciuta, che vanta un mare meravigliosamente bello e del cibo assolutamente squisito, e basta.
Mi sta un po' stretto adesso o forse lo è sempre stato.
L'idea che mettendo un piede fuori casa tutti sappiano chi sono e cosa ho fatto non mi è mai andata molto a genio e credo che mai lo farà; sono più che altro quel che si definisce uno "spirito libero", solo che i miei non sono d'accordo con me, anche se ormai suppongo abbiano perso qualsiasi tipo di speranza.
Non possono fermarmi, legarmi o imporsi, io ho già deciso anche se prima di cazzate ne ho fatte abbastanza, delle volte di mia spontanea volontà e altre volte senza che neanche me ne rendessi conto.
In ogni caso qualcosa nella mia, più o meno, breve vita l'ho combinata anche io, contro ogni qualsivoglia aspettativa.
Quando ho ormai percorso quasi tutta la strada a ritroso e oltrepasso il cancello di casa, il mio stomaco non riesce a reggere oltre allo sforzo immane al quale lo sto sottoponendo da quasi un'ora e si ribella, nel migliore dei modi direi anche.
Rientrata in casa mi libero del sudore con una veloce doccia e poi mi fiondo a letto, quando ormai ha smesso di albeggiare.

*****

Le sere di luglio sono quelle che più mi piacciono, soprattutto quando hai dato l'ultimo esame, ottenendo tra le altre cose un discreto risultato, e non ti resta che la tesi, che mette la parola fine ad un pezzo di vita che sembra durato centinaia di anni.
Ecco, le sere di luglio hanno il sapore della libertà, della spensieratezza, della gioventù; non hanno nulla a che vedere con le responsabilità, con i doveri, col sentirsi oppressi perché non sai che piega prenderà la tua vita.
Il cielo è stellato, ricoperto da miliardi di punti luce, che sono lontani da noi milioni di anni, quasi sicuramente ormai spenti, estinti, solo un ricordo di quel che sono stati.
Indosso le mie superga nere e prendo la piccola borsetta; Sara mi aspetta di sotto da almeno dieci minuti buoni, credo, e tra poco, se non mi sbrigo, butterà giù le mura con la sola forza della voce.

<Ce l'hai fatta finalmente!> esclama vedendomi.

<Non hai aspettato poi così tanto.> sbuffo alzando le spalle.

<Sono venti minuti che sono qui ad aspettarti, cara!>

Le faccio una linguaccia e poi le prendo la mano, trascinandomela dietro <Andiamo a piedi?> chiedo.

<Correre ti fa male, l'ho sempre detto!> dice guardandomi come se avessi tre teste.

<E a te fa male il poco sport..>

<Ma va, io sto benissimo!> dice facendo lampeggiare nelle notte le luci della sua Mini Cooper S, il suo gioiellino come lo chiama lei <forza sali, che siamo in ritardo.>

<Siamo in perfetto orario Saretta!> dico sistemandomi sul sedile in pelle, troppo caldo e appiccicoso per sere come questa.

Percorriamo le stradine del paese cantando le hit estive che tra pochi mesi passeranno nel dimenticatoio, mentre Sara si destreggia, in maniera impeccabile, tra la gente che affolla le strade.
Siamo in piena estate e ogni minuscolo spazio brulica di gente, arrivata qui per trascorrere le vacanze in spensieratezza, tra un bagno nel magnifico mare blu cristallino e la gioia che si respira nei paesini come il mio, che si risveglia solo durante i tre mesi d'estate per poi tornare al profondo sonno, che fa da padrone.

Always my girlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora