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I sassolini misti alla sabbia, caratteristici di questo luogo arido e deturpato, che impolverano ogni cosa, scricchiolano sotto al peso degli stivali in pelle ormai consumati, logori.
Ed è questo l'unico suono che sento in mezzo a questo deserto in cui mi trovo: lo scricchiolio dei miei stivali e quello prodotto dai miei compagni mentre camminiamo, e mi mette i brividi.
Non è la prima volta, ormai ho perso il conto delle volte in cui mi sono trovato a vivere questo momento; non per caso, ma perché l'ho scelto.
Ho scelto di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo e ho scelto di far vivere anche a chi mi sta vicino ogni giorno come se fosse l'ultimo.
D'altronde la vita non è altro che questo: un attimo fugace che solo se vissuto sul filo del rasoio può essere definito vissuto; non vi è nessun altro modo di vivere se non quello di farlo credendo che sia l'ultima volta, ne sono assolutamente convinto.
L'ultima volta in cui assapori un pasto gustoso, magari il tuo preferito; l'ultima volta in cui ti perdi in un abbraccio, caldo e confortevole; l'ultima volta in cui sorridi di gusto; l'ultima volta in cui odori i suoi capelli, che profumano di avocado e vaniglia; l'ultima volta che la baci, che tocchi ogni parte del suo corpo; l'ultima volta che i vostri corpi si uniscono.
Mi guardo un'ultima volta intorno, sicuro della protezione che ho alle mie spalle.
Ho una strana sensazione che non vuole lasciarmi tranquillo.
Mi tormenta.
Mi distrugge.
Fino a quando non raggiungiamo l'hangar; inspiro profondamente mentre svolgo tutte le procedure di controllo del velivolo, poi alzo la zip della tuta da volo e mi alzo sulle braccia così da poter entrare nel mio F-200A.
Inizio un lento rullaggio portandomi in pista dove, eseguite tutte le manovre e ricevuto il consenso, inizio il decollo.
Ed è sempre come la prima volta, come se questo fosse per davvero il mio primo volo e non l'ennesimo; il sorriso si affaccia lentamente e quasi involontariamente sul mio viso, come se non avessi alcun controllo; impugno la barra di controllo e lascio andare l' F-200A e io volo via con lui.
Poi accade tutto rapidamente: siamo in volo da quasi un'ora quando veniamo intercettati da alcuni missili; l'adrenalina comincia a scorrermi più velocemente nelle vene, tento ogni manovra, qualsiasi cosa pur di farcela.
Vedo due dei miei compagni esplodere in volo, senza che abbiano avuto la possibilità di lanciarsi fuori; poi inizio a roteare anche io.
Non siamo più nulla.
Di noi non resta che il vuoto.
E ripenso a tutte quelle volte in cui avrei voluto toccarla, baciarla, farla mia; a quante occasioni abbiamo perso per la paura di vivere e di sbagliare.
E penso a come vorrei averla accanto, perdermi nei suoi abbracci, nella sua risata,che ha il gusto della spensieratezza, ancora una volta, una sola volta perché non ricordo com'è.
Perché è passato troppo tempo.
E forse, vivere secondo quella filosofia del carpe diem non è poi così male, perché anche se si dovesse vivere poco almeno lo si è fatto appieno, lo si è fatto per davvero, lo si è fatto senza troppi rimorsi e senza troppi "chissà come sarebbe andata".
Ed io di rimorsi ne ho davvero pochi, forse uno solo misto a quel "chissà come sarebbe andata".
E mentre chiudo gli occhi, perdendo pian piano la percezione del mio intero corpo, l'unico viso che ho chiaro e nitido è il suo.
L'unico mio tormento e desiderio ma anche l'unica ragione per la quale voglio continuare a vivere, perché io rimpianti non ne voglio avere.

Always my girlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora