5 Capitolo

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La pioggia batte sul vetro, interrompendo dolcemente il silenzio sceso nella stanza.

Le sue parole continuano a rimbombarmi nella testa, lasciandomi completamente sconvolta.

Per fortuna che sono seduta sul divano, altrimenti sarei caduta a terra.

Sento le sue braccia circondarmi il corpo, infondendomi calore.

Guardo un punto fisso nel vuoto e non so nemmeno dove, tanto che sono sconvolta.

Cerco di metabolizzare le sue parole, farmene una convinzione, ma mi sembra impossibile da fare.

«Alexa, so che per te è difficile da comprendere, ma le cose stanno così»

Mi alzo tremolando e vado verso la finestra, poggiandomi sul davanzale sospirando.

«Papà tu lo sapevi?»

Chiede Axel con tono confuso, rivolto al padre.

«Si Axel, lo sapevo»

«E quando avevi intenzione di dirmelo?!»

Domanda con tono furioso.

«Figliolo, è una storia lunga e non credo che sia il momento giusto per parlarne»

«No, non cercare di rimandare, di scappare ancora dai problemi!
Parla una buona volta o ti giuro su Alexa che prendo una pistola e lo lascio con una pallottola nel petto!»

Urla infuriato e lo sento battere un pugno sul tavolo.

Seguono attimi di silenzio, dove si sente solo il respiro affannato di Axel e il rumore della pioggia.

Samuele, o meglio Christopher, è figlio dei miei zii e fratello maggiore di Jennifer.

Quindi, facendo due calcoli, lui è mio cugino.

Mio cugino è quello che mi ha rapita, violentata, torturata, tenuta prigioniera per non so quanto tempo ed è la stessa persona che ha cercato di convincermi di essere l'unica colpevole dell'omicidio di Cody e di togliermi la vita.

Adesso lo so, eppure, non riesco a rendermene conto.

Guardo la pioggia abbattersi sul vetro, per poi trasformarsi in goccioline piccole e rotolare giù libere.

Nella mia vita vengo colpita ripetutamente, come il vetro, ma non mi trasformo in una goccia e non divento libera come loro.

Pur non stando più sotto la sua schiavitù e la sua prigionia, non riesco a sentirmi completamente libera.

«Io non volevo farlo, ma ho dovuto»

Sento mia zia prendere parola, mentre sospira tristemente.

«Christopher è figlio mio e di Andrew, come ho detto prima.
Stavamo insieme da due anni ormai e mi sentivo la donna più felice del mondo, questo fino a quando non ho scoperto che razza di persona era.
A quei tempi si dedicava al sequestro di persone, per poi chiederne il riscatto.
L'ultima volta che abbiamo fatto l'amore è stata la stessa sera in cui venne arrestato, con l'accusa di sequestro di un minore.
Non avevamo usato protezioni e ovviamente questo ebbe delle conseguenze, rimanendo incinta di lui a sua insaputa.
Volevo dirglielo, ma non avevo il coraggio di andare nel carcere e vederlo lì.
Non sono riuscita nemmeno ad andare al tribunale, quando lo condannarono e non so nemmeno quanti anni stette dentro.
Stavo male, molto male, perché volevo tanto un figlio con Andrew, ma non in quelle circostanze.
Come sarebbe cresciuto con un padre assente, dietro le sbarre, e con una madre depressa?
Non ero pronta ad essere madre... in quel modo, a crescere un bambino da sola.
Non ci pensai oltre e contattai Ivan.
Erano mesi che non lo sentivo e da quel che sapevo volevano un figlio, ma sua moglie non riusciva a rimanere incinta.
Insieme a lui pianificai e progettai tutto, fino all'ultimo dettaglio.
Diedi a luce in uno degli ospedali di New York e nei giorni in cui ero ricoverata Ivan veniva a farmi visita.
Il giorno in cui fui dimessa decidemmo di mettere in atto il nostro piano.
Sapevo dove abitava e senza indugiare andai spedita.
Ormai era troppo tardi per tornare indietro e neanche lo volevo.
Anche se titubante, sapevo di fare la cosa giusta.
Adagiai il bambino davanti alla loro porta e bussai, per poi scappare via.
Quella è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto in vita mia»

Tira su con il naso e sospira singhiozzando.

Sento qualcuno alzarsi dal divano e delle braccia avvolgermi come un serpente.

Mi volta verso di sè e con i pollici asciuga le lacrime sul mio volto.

Appoggio la testa sul suo petto e chiudo gli occhi esausta.

«E Jennifer?»

Domando in un sussurro, tenendo gli occhi chiusi.

«Jennifer è mia figlia, ma il padre non è Andrew.
Dopo aver abbandonato il mio primo figlio, avevo deciso di rifarmi una nuova vita da sola, trasferendomi a Los Santos.
Stetti li per tre anni all'incirca.
Per mantenermi lavoravo in un club- house al banco bar.
Quel posto era sempre pieno di ubriaconi o drogati, ma visto che c'era il proprietario nella sala non si azzardavano a toccarmi e ne tanto meno ad insultarmi, per non avere alcun tipo di problema.
Una sera il proprietario dovette assentarsi per delle questioni private e quella sera successe il caos.
Il locale non era così pieno, c'era poca gente, ma questa cosa non giocò a mio vantaggio.
Mentre ero sul retro un' uomo mi prese per i capelli e con una mano mi tappò la bocca, trascinandomi nel bagno.
Provai ad oppormi, ma è stato tutto inutile, dato che la sua forza era maggiore.
Seppur sconvolta non ne feci parola con nessuno.
Qualche giorno dopo ho scoperto di essere incinta e quello stesso giorno mi licenziai, tornando in spagna.
Andrew era tornato in libertà e dopo avermi chiesto perdono, gli diedi una nuova possibilità.
Gli raccontai l'abuso subito e della mia gravidanza, che intendevo mandare avanti, ma lui accettò comunque, volendo crescere Jennifer come sua figlia»

Termina il racconto, scoppiando poi in lacrime.

Sospiro pesantemente, mentre le braccia di Axel mi stringono al suo petto.

Non riesco ancora a credere a tutto questo.

Sono troppe informazioni da elaborare e adesso non riesco proprio.

«Mi porti in camera per favore?
Vorrei dormire un po'»

Mormoro stanca sul suo petto, mentre mi accarezza i capelli.

«Si amore»

Mi alza delicatamente da terra, prendendomi fra le sue braccia.

Inizia a salire le scale lentamente, posandomi un bacio sulla fronte.

                                         *

<«Amore è ora di cena»

La prendo fra le mie braccia e la sveglio dolcemente, lasciandole un bacio sulla fronte.

Apre i suoi bellissimi occhi azzurri e mi sorride, lasciandomi un piccolo bacio sul collo.

«Perché mi svegli sempre come una bambina?»

Chiede ingenuamente, accarezzandomi una guancia.

Ridacchio divertito e le sorrido, tuffandomi nei suoi bellissimi occhi.

«Perché per me sei e sarai sempre una bambina, la mia bimba»

Dico marcando per bene la penultima parola, per poi stamparle un bacio sulle sue morbide labbra.

«Adesso basta smancerie.
E' ora di cena»

Faccio per alzarmi con lei fra le braccia, quando a fermarmi è la sua voce.

«Se non è un problema preferirei cenare in camera.
Con tutto quello ché successo oggi, non me la sento di...»

«Ho capito, non preoccuparti, ma voglio che mangi tutto, intesi?»

Le chiedo poggiandola sul letto, vedendola annuire.

Mi abbasso alla sua altezza e le poso un bacio sulla fronte.

Faccio per andare verso la porta, ma Alexa mi prende per un braccio, facendomi voltare verso di lei.

«Piccola, cosa c'è?»

Chiedo con tono confuso.

«Prima che vai, vorrei chiederti una cosa»

Mormora a sguardo basso, giocando le sue dita.

Mi siedo accanto a lei e la faccio sedere sulle mie gambe.

«Che cosa?»

Chiedo con tono confuso e sorpreso allo stesso tempo.

«Ecco... oggi Skye e Jennifer mi hanno detto che Juan è vivo e che si trova in stato di coma.
Volevo chiederti se potevi portarmi da lui, per vederlo con i miei occhi»

«Tu non lo sapevi?»

Le chiedo con tono sorpreso e confuso allo stesso tempo.

«No, credevo fosse morto.
Per questo volevo chiederti di andare a trovarlo insieme»

Chiede facendomi gli occhi dolci.

Sospiro pesantemente, facendole posare la testa sulla mia spalla.

«E' che non... non lo so amore.
Non credo che tu sia pronta per vederlo»

Le spiego accarezzandole i capelli.

«Si che sono pronta!
Se non lo fossi stata non te ne avrei parlato»

Dice alzando la testa di scatto, facendo incrociare i nostri sguardi.

«Dal dire al fare c'è una bella differenza bimba.
Che succede se hai una crisi come quella di oggi?»

Le chiedo con tono preoccupato, accarezzandole una guancia.

«In quel caso ci saranno dei medici pronti ad aiutarmi e...»

«Ecco, ti sei risposta da sola»

«In che senso?»

Chiede con tono confuso, guardandomi allo stesso modo.

«Se avrai una crisi quei medici ti porteranno via da me.
Farebbero studiare il tuo caso da uno psicologo e ti rinchiuderebbero in una clinica.
Dovrei uccidere come minimo dieci persone per poterti riprendere, quindi no.
Mi dispiace amore, ma non se ne parla»

Dico con tono deciso, stringendola fra le mie braccia.

Si dimena leggermente e prende il mio viso fra le sue piccole mani, portandolo a pochi centimetri di distanza dal suo.

«Adesso ascoltami bene piccolino: io voglio andare a vedere Juan e tu verrai con me senza fare storie.
Come dici tu, se sono con te nulla può succedermi, quindi noi domani mattina andremo in ospedale a trovarlo e l'argomento è chiuso»

Dice guardandomi dritta negli occhi, lasciandomi di stucco per il tono di voce determinato che ha usato.

Mi stampa un bacio sulle labbra e fa per alzarsi, ma mi riprendo dal mio stato di trans e la prendo per i fianchi.

«Ehi, da dove viene tutta questa grinta?»

Le chiedo con tono divertito, solleticandole i fianchi.

«E comunque... mi hai convinto.
Domani andremo da lui, ma appena vedo che qualcosa non va andiamo via, intesi?»

Sorride come una bambina e batte le mani felice, lasciandomi un'altro bacio sulle labbra.

«Adesso vado a prenderti la cena.
La febbre si sarà pur abbassata, ma non è passata.
Se vuoi uscire domani, devi rimetterti in forze»

Le lascio un bacio sulla fronte e mi alzo, posandola delicatamente sul letto.

Esco dalla stanza oltrepassando la porta, dirigendomi al piano inferiore.

                                     *

La cena passa in tranquillità, per lo più in silenzio che viene interrotto solo da alcune frasi dette comunemente a tavola.

Nessuno osa proferir parola, mentre si mangia in religioso silenzio.

«Quindi, in quale clinica avete deciso di rinchiuderlo?»

Chiedo con tono curioso, interrompendo il silenzio che si era creato.

«Axel!»

Mi ammonisce mio padre, guardandomi di traverso.

«Di cosa sta parlando?»

Chiede Sabina con tono confuso, mentre mia madre mi guarda allo stesso modo.

«Parlo della clinica in cui lui verrà rinchiuso, perché qui non può stare»

Mi alzo da tavola e vado verso la cassettiera, aprendo un cassetto ed estraendo alcuni fogli.

Richiudo il cassetto e torno verso la tavola, poggiandoli sul tavolo.

«Queste sono alcune cliniche che ho visto.
Dategli un' occhiata e scegliete in quale mandarlo, così organizzo il tutto»

Spiego risedendomi a tavola, riprendendo a mangiare.

Curiosi e confusi, mio padre e Sabina afferrano fogli, iniziando a guardarli.

«Di cosa sta parlando?»

Chiede mia madre con tono curioso, rivolgendosi a mio padre.

«Stai zitta.
Non ti ho dato il permesso per parlare»

L'ammonisce con tono severo, facendole abbassare lo sguardo.

«Queste sono delle cliniche psichiatriche!
Samuele non ha bisogno di... questo»

«Invece si Sabina.
Mio padre non ti ha detto il suo stato mentale attuale?»

Chiedo con tono fintamente confuso, guardando mio padre di traverso.

«Axel...»

Mi richiama con tono basso e severo, mentre ricambio il suo sguardo di rimprovero con un ghigno.

«Di cosa stai parlando?»

Mi chiede lei con tono confuso.

«Di nulla Sabina, sta tranquilla»

Si affretta a rispondere mio padre cercando di distrarla, per poi lanciarmi occhiate di fuoco.

«No papà!
Lei ha il diritto di saperlo!»

Gli urlo in faccia con tono irritato, battendo un pugno sul tavolo.

«Sapere che cosa?»

Chiede ancora una volta con tono confuso, guardando me stavolta.

«Dato che mio padre non ha il coraggio, o meglio le palle, di dirti la verità lo farò io.
Samuele dopo l'incidente con il suo gruppo di amici è diventato pazzo: parla da solo, urla senza motivo, si tira gli schiaffi da solo e se un momento prima piange poi scoppia ridere e tutto senza motivo.
Mi spiace dirtelo così diretto, ma non mi sembra giusto fare dei giri di parole su un tale argomento ed è questa la verità.
Sei sua madre ed è giusto che tu lo sappia»

«Axel!»

Tuona mio padre con tono furioso, alzandosi immediatamente dalla sedia e battendo un pugno sul tavolo.

Mia madre scatta in piedi non appena sente le mie parole giungono alle sue orecchie, con lo sguardo rivolto verso mio padre.

«Ivan che cosa significa tutto questo?»

Gli chiede con tono sconvolto.

«Stai zitta!
Non hai il permesso per chiamarmi con il mio nome e nemmeno per...»

«Non me ne importa niente!
Voglio sapere all'istante perché Axel insinua che mio figlio è in realtà il figlio di Sabina!»

Ordina con tono autoritario, facendogli sgranare gli occhi dalla sorpresa.

Vedo mio padre passarsi nervosamente una mano fra i capelli.

Fa per dire qualcosa, ma viene interrotto da Sabina.

«Credo che voi due abbiate di che parlare ed io sono di troppo.
Con permesso»

Mormora con tono basso, per poi dirigersi verso le scale del piano superiore.

«Buona discussione.
Vedete di non uccidervi e di non far rumore, perché io e la mia ragazza vogliamo dormire e non sentire voi due che vi gridate contro»

Ridacchio divertito, mentre a passi lenti mi dirigo verso le scale che portano al piano superiore.

                                     **

Mi lavo velocemente i denti e mi fiondo un camera per vestirmi.

Indosso una maglietta dell’Adidas nera e un jeans blu, per poi mettermi un paio di scarpe bianche.

Pettino alla svelta i capelli e scendo di corsa al piano di sotto, felice come una Pasqua.

Arrivo al piano di sotto e trovo Axel intento a parlare con mia zia Sabina.

Cammino fino  arrivare alle sue spalle, abbracciandolo improvvisamente da dietro.

«Ehi piccola»

Prende il mio viso fra le sue mani e mi bacia dolcemente.

«Andiamo?»

Chiedo impaziente, facendogli gli occhi da cucciola.

«Si amore.
Ci vediamo dopo»

Saluta mia zia e mi prende per mano, conducendomi verso l'uscita, ma prima che varchiamo la soglia mia zia mi ferma per un braccio, facendomi voltare confusa e con una nota di fastidio nello sguardo.

«Tesoro non mi dici nulla?
Non mi saluti?»

Chiede con tono speranzoso, facendomi alzare gli occhi al cielo irritata.

Mi volto verso di lei e la squadro da capo a piedi con fare disgustato.

«Non ho nulla da dirti, se non degli insulti.
Quindi è meglio che non ti dica niente, altrimenti potrei prenderti a parole»

Dico senza tanti giri di parole, per poi uscire dalla porta mano nella mano insieme ad Axel.

«Amore, hai esagerato»

Dice lui una volta oltrepassata la soglia, chiudendo la porta alle sue spalle.

«Non è una cosa che ti riguarda, quindi stanne fuori»

Dico con tono infastidito, camminando a passo svelto verso la macchina.

Apro la portiera e mi siedo sul posto del passeggero, allacciando la cintura di sicurezza.

Axel fa il giro della macchina e si siede al posto del guidatore.

«Tutto quello che ti riguarda è affar mio, perché include anche me»

Dice rispondendomi allo stesso tono in cui gli ho parlato poco prima, allacciandosi la cintura di sicurezza.

«Questo no.
E' una cosa tra me e mia zia»

«Secondo me non dovresti trattarla in quel modo.
In fin dei conti non è stata lei a farti del male»

Dice mettendo in moto la macchina, abbassando i finestrini.

«Ma ha tenuto nascosta una grande verità ed è questo che mi fa incavolare ancora di più di quel che sono già»

Sbotto arrabbiata, incrociando le braccia sotto il seno.

«E' normale che non se la sia sentita di parlare di un' argomento così delicato e tu dovresti essere la prima a comprenderla.
Come te, è stata violentata anche lei e tu nemmeno volevi dirmelo, ricordi?
Adesso lei ha preso coraggio e l'ha confessato, ma aggredendola in questo modo le fai soltanto credere di aver fatto la cosa sbagliata.
Ha sbagliato tenendo te e tua cugina all'oscuro di tutto, ma se tutto questo non fosse successo lei non avrebbe avuto motivo per dirtelo.
A parer mio dovresti ricambiare questo suo atto di sincerità e di coraggio standole accanto, non credi amore?»

Dice con tono pacato, posando una mano sul mio ginocchio.

Lo guardo con un sottile velo di sorpresa sul mio volto, non appena le sue parole mi arrivano alle orecchie, dolci e delicate.

Credo che solo adesso mi sto rendendo conto di quanto lui sia veramente cambiato dopo il mio rapimento.

Ha imparato a rivelare non solo il suo lato da ragazzo scontroso, autoritario e tanto stronzo, ma anche il suo lato dolce, tenero e amorevole.

Il solo pensiero che riesce a rivelare questi due suoi lati così diversi insieme, ponendo un' equilibrio fra loro, fa nascere un sorriso spontaneo sul mio volto.

«Hai ragione... amore.
Ti chiedo scusa per essermela presa e con te»

Gli dico con un sorriso stampato sul volto, accarezzandogli la mano sul mio ginocchio.

Si volta a darmi un bacio veloce sulle labbra, per poi tornare a guardare la strada.

The king's girl 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora