Capitolo 2.

81 5 2
                                    

La sveglia suonava ripetutamente e non ne voleva proprio sapere di smetterla di suonare ed io non ne volevo proprio sapere di alzarmi, così con fatica struscio il braccio sul comodino e la sveglia cade cessando finalmente di produrre quel suono che tanti odiano, compresa me. All'improvviso mi ricordo del viaggio: sarei dovuta partire alle tre ed io sono lentissima a prepararmi. Prendo il telefono e vedo l'orario che mi avvertiva che era fin troppo tardi per i miei gusti, le 11; avevo dormito come un ghiro e questa cosa mi sorprendeva poichè non ero abituata a svegliarmi molto tardi la mattina, si poteva dire che ero una persona abbastanza mattiniera. Mi alzo velocemente e racchetto in fretta le altre cose che avrei messo in borsa: chiavi, occhiali, sciarpa, specchietto, fazzoletti e tante altre cose che per miracolo avrei fatto entrare,dopodichè mi dirigo sotto la doccia per risvegliarmi completamente, la mia faccia gridava letteralmente di avere ancora sonno nonostante l'orario. Esco dalla doccia e avvolgo un asciugamano attorno il mio corpo e con un'altra asciugamano tolgo l'acqua in eccesso dai miei capelli lunghissimi; sarei dovuta partire alle 2 del pomeriggio e sarei dovuta avviarmi in aeroporto un'ora prima. Asciugo i capelli lasciandoli mossi e infine vado in camera, infilo la biancheria e scelgo cosa mettermi: una gonna ad alta vita nera con sopra una maglia abbastanza pesante e morbida bianca,con infine delle scarpe col tacco chiuse non troppo alte,nere. Chiamo un taxi e dopo venti minuti dalla finestra vedo che è arrivato, così prendo la borsa mettendola sulla spalla e le valigie per poi chiudere la porta sicura di non aver dimenticato nulla. A fatica trascino le valigie dietro di me e il tassista, anima buona, mi aiuta a caricarle sul taxi e infine salgo anche io.

-Dove la porto signorina?- mi chiede il tassista sulla cinquantina guardandomi dallo specchietto e rivolgendomi un sorriso.

-All'aeroporto John Kennedy,grazie!- ricambio il sorriso e mi rilasso sul seggiolino guardando fuori dal finestrino. Faceva abbastanza freddo e il tempo non era dei migliori, avrei giurato che avrebbe piovuto da lì a poco. L'aeroporto distava 20 minuti dal mio appartamento, grazie a Dio, e arrivammo subito nonostante il traffico che a New York era ormai all'ordine del giorno. Il tassista scese prima di me e scaricò le valige per poi porgermele rivolgendomi un sorriso; pagai il tassista e presi le valigie trascinandomele dietro cercando di non pensare al loro peso. Entrai nell'aeroporto e andai dritta al check-in: per fortuna non andò come immaginai ieri e mi diressi verso il mio volo insieme alla mia borsa siccome avevo lasciato le valigie lì. Entrai in aereo e mi sedetti al mio posto, consapevole che mi avrebbero aspettato almeno 24 ore di viaggio, in quel momento avrei voluto morire. L'aereo decollò dopo qualche minuto ed ero seduta affianco ad una signora sulla cinquantina insieme ad una bambina, la nipote suppongo. Mi ero portata un libro dietro per passare il tempo e inoltre era di uno scrittore che amavo tanto: John Green, Cercando Alaska.

Ero sull'aereo da ormai 10 ore ed ero stremata e le gambe non davano segno di vita così decisi di alzarmi e andare in bagno per darmi una sistematina. Mi diressi verso il bagno ed entrai guardandomi allo specchio e lo spettacolo che si presentò davanti ai miei occhi non era un granchè: i miei capelli erano leggermente arruffati, delle leggere occhiaie e il trucco ormai andato a puttane. Mi sistemai quel poco che potevo e uscii andandomi a rimettere a posto preparandomi ad altre 10 ore di volo,magari con qualche scalo.

10 ore dopo.

Una voce metallica annuncia che siamo atterrati in Australia, eravamo nel tardo pomeriggio, le 5.30 pm precisamente. Avevo dormito parecchio e per darmi una sistemata prendo lo specchietto dalla borsa, almeno sarei stata presentabile. Scendo dall'aereo e mi dirigo a prendere le mie valigie per poi uscire fuori, avevo bisogno di camminare e di prendere un pò d'aria quando mi viene in mente una cosa. Come sarei arrivata a casa dei miei? Questo pensiero non aveva minimamente attraversato la mia mente, e come per magia il telefono squilla rivelando il nome di mio padre e rispondo.

-Ciao figliola, sei arrivata?- mi chiede la dolce voce di mio padre, avevo sempre avuto un rapporto particolare con lui e il fatto di rivederlo mi rendeva felice, ero sempre stata la sua bambina nonostante avessi 21 anni.

-Si papá, vieni tu a prendermi?- la mia domanda era colma di speranza, volevo vederlo il più presto possibile.

-No bimba, verrá tra 10 minuti il figlio dei nostri cari vicini, ti dispiace? stasera ceniamo con loro, vogliono conoscerti.-

-Vabbene papá tranquillo, lo aspetto allora, a dopo!- stacco la chiamata e mi siedo su una panchina fuori all'aeroporto aspettando il figlio misterioso dei vicini. Ero intenta a guardare il cellulare quando il clackson di una macchina mi distrae dal cellulare facendomi alzare il capo. La macchina si ferma accostandosi accanto a me e la portiera si apre rivelando il ragazzo non più misterioso. Era abbastanza alto e muscoloso, aveva dei ricci indomabili color biondo scuro fermati da una bandana nera con sopra delle fantasie bianche e degli occhi color nocciola. Indossava dei pantaloni neri stretti, una maglia nera coperta da un giubbino di pelle nero e infine delle converse dello stesso colore: pareva dovesse andare ad un funerale. Si avvicina a me lentamente e con passo sicuro per poi rivolgermi la parola.

-Ciao, tu devi essere la figlia di Joe e Juliet, Ivy vero?- mi dice senza nemmeno un sorriso, anzi, aveva la faccia di una persona che era stata costretta a fare qualcosa che non voleva.

-Si,e tu sei un ragazzo che è appena tornato da un funerale vero?- affermo con una punta di ironia e aciditá guardandolo dritto negli occhi.

-La simpatia non è proprio il tuo forte devo dire.- mi guarda alzando un sopracciglio. Lo conoscevo da nemmeno 5 minuti e giá volevo strozzarlo con le mie stesse mani. Lo ignoro e metto le mie valigie nei seggiolini dietro per poi salire avanti accanto a lui: prima tornavamo a casa e meglio era. Il viaggio fu silenzioso e durò 15 minuti, non ci eravamo rivolti più la parola, anche perchè mi è bastato sentirlo parlare per capire che ragazzo fosse: presuntuoso, arrogante e antipatico. Arrivammo a destinazione ed era tutta una schiera di villette, tra cui quella dei miei genitori e affianco,suppungo, del ragazzo antipatico e arrogante. Scendo e mi avvio verso la porta senza degnare di uno sguardo il ragazzo e sto per bussare alla porta quando la sua voce mi ferma.

-Credi che le valigie abbiano le gambe? Io di certo non te le prendo ragazzina viziata.- mi guarda con occhi pieni di antipatia. Ma chi si credeva di essere? Avrei dovuto sopportarlo stasera a cena? Non ci penso nemmeno, avrei preferito starmene in camera. Mi avvicino a lui puntandogli il dito contro trasformando i miei occhioni azzurri in due fessure.

-Senti ragazzino, non so tu chi sia o come ti chiami e non voglio nemmeno saperlo ma non comportarti così con me, ignorami come farò io con te.- mi allontano da lui sentendomi il suo sguardo addosso e prendo le mie valigie dirigendomi verso la porta giá aperta.

-Comunque il mio nome è Ashton.- urla il ragazzo sperando che lo rispondessi, ma tutto quello che ricevette fu una porta sbattuta in faccia. Soddisfatta del mio gesto mi guardo intorno in cerca dei miei genitori che dopo qualche secondo mi corrono incontro abbracciandomi.

-Tesoro, ci sei mancata tantissimo.- dicono all'unisono provocandomi una risata.

-Anche voi genitori, ma così mi schiacciate.- dico urlando cercando di allentare la loro presa. Mi erano mancati da morire e cosa c'è di meglio di passare del tempo con la propria famiglia?

Ashton's POW.

Quella ragazza mi aveva sbattuto la porta in faccia, ma chi cazzo credeva di essere? Era soltanto una ragazzina viziata e non avrei mai immaginato che potesse essere la figlia di Joe e Juliet, loro erano completamente diversi. Sarebbe stata una ragazza come le altre, prima o poi sarebbe caduta ai miei piedi come fanno tutte e io l'avrei usata, mi sarebbe servito solo un pò di tempo. Aveva un bel caratterino e riusciva a tenermi testa e mai nessuna aveva osato fino ad oggi: un motivo in più per odiarla, nessuno osava mettermi i piedi in testa, nessuno e tantomeno quella ragazzina viziata.

__________________

Ciao ragazze :3
Spero vi piaccia il capitolo, c'ho messo due giorni lol
Comunque come giá detto, non ho intenzione di lasciare la storia di Luke.

Al prossimo capitolo. -Anna❤

Drunk in love.||Ashton Irwin||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora