Capitolo III

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Si ritrovò improvvisamente bambino. Era un giorno particolare, un giorno che ricordava bene. Stava aspettando che sua madre finisse di comprare delle cose, seduto sui gradini dell'unico negozio nella Sezione dei Rinnegati, ovvero quella destinata soltanto agli Umani o agli Ibridi.

Era lì che viveva e che aveva sempre vissuto, con Guinevere, sua mamma. I Rinnegati si trovavano abbarbicati sulle colline e alle loro spalle vi erano le 黒い山("Kuroi Yama"), dove si narrava che tutta la loro stirpe aveva avuto inizio.

Leggende o meno, lui ci credeva.

Pensava proprio a una di quelle storie, mentre torceva la testa di una piccola statuetta di legno, il suo unico giocattolo, costruita dall'amica di sua madre.

Qualcuno cominciò a ridere da in fondo alla strada e dei rumori chiassosi si avvicinarono sempre di più. Joef sapeva benissimo chi fosse e non aveva di certo intenzione di dar loro importanza; ma il gruppo risalì lungo la strada e passò proprio davanti a lui.

Erano in cinque, tutti più grandi del ragazzo, anche di quattro cicli. Il capo si chiamava Maker, era paffutello e un principio di acne già gli cresceva sul viso. Rideva e si spintonava con quei dementi dei suoi compari. Quando vide Joef, i suoi occhi si accesero.

Joef lo odiava a morte. Odiava ancora poche cose in quel periodo, ma sicuramente Maker era una di quelle. Una stretta allo stomaco, deglutì. In una frazione di secondo, la statuetta gli venne tolta di mano. Maker la rigirò tra le dita cicciotte.

«Guardatelo! Fa tanto il gradasso questo mezzo scarto e poi è come una femmina!»

I suoi scagnozzi esplosero in una risata sguaiata e ridicola. Joef si alzò. Era già più alto di almeno due di loro, ma Maker lo superava nettamente.

«Ridammela, porco imbecille.» Strinse i pugni, le braccia lungo i fianchi, sapore di bile in bocca. Gli avrebbe appiccicato volentieri la faccia contro il muro e poi l'avrebbe trascinato come un sacco di patate.

Maker lo guardò con odio. Lanciò la statuetta a terra, in una pozzanghera alla loro destra e la pestò.

Quello scricchiolio aizzò in Joef una rabbia viscerale: gli mollò un pugno sul viso e fu abbastanza soddisfatto quando lo vide barcollare all'indietro... per la prima frazione di secondo.

Poi, il suo naso venne colpito da un ottimo gancio destro, sicuramente più forte di quello che aveva tirato a Maker. Crollò prono nella pozzanghera, assieme alla statuetta ormai ridotta in pezzettini e si specchiò nell'acqua, dove cadde una goccia di sangue.

«Maker, fallo fuori!» incitavano quegli altri imbecilli.

Un calcio sulla schiena, uno sulla testa. Joef cercò di strisciare via, ma venne preso per la caviglia. Si dimenò, assestò un paio di calci, sputò un mix di acqua, fango e sangue.

Ci vedeva appannato, percepiva un dolore atroce alla testa e dei puntini neri danzavano nel suo campo visivo. Un altro colpo, non capì nemmeno da dove, lo raggiunse sulla pancia: le sue mani corsero allo stomaco che sembrava percorso da scosse elettriche.

«Fermatevi! Che state facendo?»

Quella voce. Era la prima volta che la sentiva. Dura, accusatoria e profondamente adulta, nonostante appartenesse a un ragazzino di quattordici anni.

«E tu chi cazzo sei?»

Joef non ci vedeva niente. Sputò ancora il fango e si lamentò dal dolore, passandosi le mani sugli occhi impastati di lacrime.

«Mi chiamo Seren. E se non ve ne andate subito giuro che chiamerò tutti i vostri genitori. I tuoi per primi, Maker. Vediamo se ti mandano ancora a scuola con me, dopo.»

Il Sangue di Meith - Stars are Falling [in pausa] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora