Capitolo IV

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La quinta notte, dal buio delle sue palpebre, per Joef emerse un altro sogno che, anche questa volta, era più un ricordo.

Era quel giorno. La mattina in cui lo scoprì.

Odiava vederlo ancora; viverlo una volta gli era più che bastato, ma era uno dei suoi incubi più ricorrenti.

Nel sogno, aveva appena dodici anni. Si era svegliato bruscamente, ritrovandosi nel suo letto caldo, al sicuro. Guardò la sveglia: segnava le sei del mattino.

Sentì un brusio in cucina non molto sommesso. Decise di alzarsi, scansando le coperte e infilando le pantofole. Aveva troppa paura per tornare a dormire.

Avrebbe raccontato a sua madre l'incubo: sfogandosi con lei sarebbe andata meglio.

La camera intorno a lui era immersa nell'oscurità: le pesanti tende coprivano l'unica piccola finestra chiusa dalla persiana in legno.

La temperatura fuori era ancora bassa: il termometro sulla parete, illuminato un poco dalla luce proveniente dal salone, segnava meno venti gradi all'esterno, dieci in casa.

Si avvicinò facendo meno rumore possibile alla porta e la aprì: era solo socchiusa. Affacciandosi in salone, il volume delle voci aumentò.

Riconobbe subito quella di sua madre. Calda, familiare, come i biscotti e il suo profumo di salsedine.

Guinevere era nata da qualche parte in un pianeta lontano. La sua casa si trovava vicino a un mare ben diverso dal loro, eppure quell'odore le era rimasto addosso, quasi avesse fatto troppe volte il bagno.

Il bambino mise un passo davanti l'altro e riuscì ad affacciarsi un poco, per sbirciare in cucina. La madre era seduta al tavolo, con le mani in grembo, intrecciate fra loro. I capelli sciolti le ricadevano come un fiume in piena sul collo, sulle spalle e giù per tutto il tronco, in onde bionde chiarissime.

Non portava la benda. Le palpebre, costrette a rimanere chiuse, erano deturpate così come tutta la zona superiore del viso; le sopracciglia assenti. Al loro posto, degli strani segni, quasi disegni a pastello bianco fatti da un infante e una lunga striscia rossa proprio sulla fronte, molto marcata. Il suo volto venne subito oscurato da due mani che le passarono sugli occhi un panno bianco.

Joef riconobbe così anche l'altra donna che parlava, in particolare dalle sue dita smaltate: Jenna. La migliore amica di Guinevere e anche il suo medico.

Di Jenna, Joef poteva vedere solo una parte del viso in penombra, i capelli scuri tagliati cortissimi e gli occhiali spessi. Le sue gambe, anzi, la sua gamba sporgeva dal muretto oltre il quale le stava spiando: l'altra era una protesi finta. Un paio di stampelle era posato a sinistra di Guinevere, sul frigo.

Joef decise che non era il caso di interrompere, quindi stava per andarsene...

«E a Joef? Quando lo dirai, Guinevere?»

Nel cervello di quel bambino si fece strada l'idea che stessero per parlare di un argomento di cui aveva sempre voluto sapere di più. Di suo papà ad esempio.

E da bimbo cocciuto qual era sempre stato, rimase lì.

Un gravissimo errore, o la sua scelta più giusta, questo era ancora presto per dirlo.

Sentì sua madre sospirare. La donna fece scrocchiare le ossa delle dita, un suo vizio odioso, che faceva quando era molto nervosa. «Non è ancora pronto, Jenna. Non posso dirglielo adesso. Non so neanche se glielo dirò mai. A lui piace così tanto la favola del Re Buono... Non posso rovinargli la vita. Ho già fatto abbastanza, non trovi?»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 01, 2019 ⏰

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