Capitolo 5

588 13 0
                                    


C I N Q U E
"Non sei così importante"

Camminai a passo spedito lungo tutto il corridoio del piano terra, raggiunsi le scale e le salii fino a raggiungere il primo piano

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Camminai a passo spedito lungo tutto il corridoio del piano terra, raggiunsi le scale e le salii fino a raggiungere il primo piano. I leggeri tacchi delle mie scarpe rimbombarono tra le mura in pietra, ai lati ricoperte dagli armadietti. Poco prima della porta di un'aula, un ammasso di persone scalpitava e parlava ad alta voce senza curarsi di poter interrompere o disturbare qualche lezione. Se prima non avevo idea di dove si trovasse la bacheca, in quel momento lo capii.
Un uomo di mezza età vestito in modo sportivo fece la sua apparizione nel corridoio con un foglio in mano.
Quando vide che molte ragazze erano accalcate intorno alla bacheca, alzò gli occhi al cielo e tossì per richiamare l'attenzione.

«Fatemi passare, per favore» disse scocciato. In tempo due secondi tutti si spostarono e si aprì una specie di varco per farlo passare, proprio come da lui richiesto.
Anche se ero in quel college da poco, avrei benissimo potuto giurare che quell'uomo non era un insegnante, tantomeno un collaboratore scolastico. Quello che mi bloccava però era altro, ovvero il modo in cui era vestito, totalmente contro le regole del dress code per il personale scolastico. Una cosa su cui il Boston College era molto severo erano le sue regole, rigide e inflessibili.
Nessuno, a parte i giocatori della squadra di football e le cheerleaders, poteva permettersi di non indossare l'uniforme.

Con varie spallate l'uomo riuscì ad arrivare alla parete sulla quale risiedeva la bacheca, estrasse dalla tasca dei pantaloni una puntina rossa con la quale bucò il pezzo di carta per appendercelo sopra. Dei suoni e dei commenti delusi uscirono dalla maggioranza delle labbra delle ragazze, non ne capii esattamente la quantità, ma di certo erano tante. Man mano che le persone avanzavano, potevo vedere sul volto di coloro che avevano già visionato i risultati delle espressioni poco contente, c'era chi era arrabbiato, chi deluso e chi triste.
In quel momento una terribile ansia iniziò a crescere dentro di me, ma non ero a conoscenza del suo motivo, della sua causa. Ero ben consapevole delle mie capacità, di quanto avessi svolto bene l'esercizio alle audizioni, di quanto io mi meritavo di entrare. Forse l'ansia era dovuta alla paura che la Rochdale avesse pianificato qualcosa, un piano per non prendermi in squadra.
Da quel poco che ci avevo parlato, sembrava non volermi, non vedere il mio potenziale, voleva difendere il suo posto con le unghie e con i denti.

Quando tutte se ne andarono, feci qualche passo fino a trovarmi davanti alla bacheca. Passai gli occhi sui vari annunci appesi, fino a quando trovai ciò che stavo cercando. Mi avvicinai ancora di più e ci appoggiai sopra il dito indice, iniziai dall'alto e lentamente scesi osservando i risultati di ogni singola persona. Non ammessa, non ammessa, non ammessa. Tutte le ragazze che avevo incrociato alle audizioni non erano state ammesse. Una smorfia di disaccordo si presentò sul mio viso,  alcune di loro avevano potenziale, non capii perché non ammetterle.
Scesi ancora di più con l'indice, fino a quando la mia unghia perfettamente ricoperta dallo smalto incontrò il mio nome.
Cassandra Cromwell: giudizio sospeso, attesa nel campo da football.
Giudizio sospeso? Io? Com'era possibile?
Sbuffai contrariata, domandandomi perché dovevo tornare al campo da football. Avevano dei dubbi su di me? Sulle mie capacità? Impossibile.
Se soltanto l'avessi voluto, sarei stata capace di battere non solo Jessica, ma l'intera squadra. Erano deboli, con un programma scarso e quasi privo di passaggi tecnici decenti, la squadra sembrava andare a pezzi, spaccarsi in mille cocci di vetro sotto l'incapacità della Rochdale, il loro capitano.
Ero curiosa di sapere chi l'aveva scelta come figura di maggior rilievo, chi aveva deciso che lei doveva essere il capitano, che lei aveva quel qualcosa in più rispetto alle altre.
A pelle mi stava antipatica? Sì.
Era brava come cheerleader? No, per niente.
Magari con qualche anno di allenamento avrebbe potuto farcela a migliorare e forse anche a ricoprire in modo degno quella posizione che, da quanto avevo capito, ricopriva da anni.
Non per modestia, per vantarmi o altro, ma io ero certa di poter cambiare quella squadra in meglio, anche solo entrando a farne parte.
Giudizio sospeso, attesa nel campo da football...io?
Sbuffai di nuovo. Più ci pensavo, più mi innervosivo.
Girai i tacchi e, con passo pesante, mi diressi verso quel maledetto campo da football, dove era successo di tutto. Lì avevo visto per la prima volta la squadra esibirsi, avevo partecipato come pubblico alla prima partita annuale degli Eagles, avevo capito che tipo di persona era Benjamin...erano accadute molte cose, tra cui ricevere un pallone in faccia il primo giorno. Soltanto a pensarci sentivo ancora dolore al naso. Maledetto Laswick.
Pensandoci però, in quasi ogni cosa c'era lui: negli Eagles c'era lui, avevo capito ciò che voleva davvero Benjamin grazie a lui e, indovina indovinello, avevo ricevuto il pallone in faccia a causa sua.

Ephemeral - Lacrime amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora