Capitolo 6

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S E I
"Non oggi, forse domani"

Jeans, magliette, felpe, giacche, intimo

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Jeans, magliette, felpe, giacche, intimo.
Stavo riempiendo quella valigia da ore e sembrava sul culmine di star scoppiando. Pile di vestiti appoggiati sul letto aspettavano di essere infilati al suo interno inutilmente, tanto non ci sarebbero riusciti ad entrare.
Sbuffai contrariata e ormai senza speranze, dovevo lasciare qualcosa lì nella mia stanza. Che palle.
Passai gli occhi su ogni singolo capo, analizzando mentalmente cosa mi stesse meglio e cosa peggio.
Afferrai tra le mani un paio di pantaloni scuri, tendenti al marrone, e me li immaginai indosso. No, ci stavo male. Riuscii ad visionare il loro tessuto aderente attorno alle mie gambe magre e per poco non mi salii un conato di vomito. No, decisamente no.
Feci la stessa cosa con una maglietta bianca con dei fiocchi sulle maniche corte, ma anche lì mi immaginai le mie braccia fin troppo magre risaltare. Altro conato, meglio di no.
Continuai così per quelle che sembrarono ore. Vestiti in valigia, altri lanciati per terra e altri sul letto. In quel momento nella mia camera, e nella mia testa, regnava il caos. Ero sempre stata troppo perfettina sulla mia apparenza, volevo apparire perfetta agli occhi di tutti, nessuno poteva vedermi in altre condizioni, nessuno poteva vedermi scomposta, macchiata, danneggiata, scheggiata. Dovevo essere perfetta per evitare le malelingue, le dicerie, i commenti e...le prese in giro.
Dietro a tutta quella perfezione a cui aspiravo c'era una motivazione che mi tormentava da anni, mi trascinava sul fondale legandomi un peso addosso da cui non riuscivo e da cui non sarei mai riuscita a liberarmene.
Non potevo permettermi nemmeno uno sbaglio, tutto doveva essere perfetto.
A nove anni aveva iniziato ad importarmi davvero del mio aspetto fisico, dei capelli, dei denti, del fisico. Niente di me andava bene, me lo avevano sempre detto. Solo io sapevo cosa avevo passato, ciò che loro mi avevano fatto. Solo al pensiero dei loro colpi un brivido percorse il tragitto della mia schiena dall'alto al basso provocandomi un'ondata improvvisa di freddo. Sentivo le loro mani addosso, i calci in pancia...tutto sembrava ancora reale. Per un secondo riuscii a rivedere i lividi che mi avevano provocato con la loro violenza. Gambe, braccia, pancia. Ero un livido vivente.
Non volevo tornare indietro, non potevo tornare indietro, non potevo permettermelo.
Sentii qualcosa bagnarmi la guancia, alzai un dito e ce lo passai sopra togliendo una piccola lacrima che era sfuggita al mio controllo. Un nodo alla gola e una stretta allo stomaco mi fecero quasi avere un mancamento. Un conato di vomito mi salii improvvisamente in gola, lottai con tutte le mie forze per rimandarlo indietro ma sembrava proprio voler uscire da me. Mi coprii la bocca con una mano e guardai verso l'alto per non farlo accadere. Non di nuovo, ti prego.
Gli occhi si inumidirono velocemente e il nodo alla gola si strinse ancora di più, non poteva succedere di nuovo. Non poteva.
Mi avvicinai allo specchio e mi osservai da capo a piedi.
Dovevo essere perfetta, ma avevo qualcosa che non andava, qualcosa di difettoso. La ragazza perfetta non piangeva, non vomitava perché non si sentiva abbastanza bella, non era...sbagliata, non ero io.
Ci provavo in tutti i modi, ci volevo riuscire ma non ce la facevo. Sembrava un ostacolo enorme da superare, una di quelle cose impossibili che nessuno riusciva a fare. Raggiungere la perfezione sembrava un peso che pian piano mi stava portando sul fondale, senza possibilità di respirare e tornare a galla. Ma non era così. Tante ragazze erano perfette, perché io no? Perché non potevo essere come loro?
Sin dal momento in cui il bullismo e le prese in giro erano peggiorati avevo iniziato a cambiare, a voler diventare migliore. Migliore per me, migliore per loro.
Volevo essere una persona normale senza dover avere paura di comportarmi come volevo, esprimermi per quello che ero davvero, senza fingere.
Perché non ci riuscivo? Perché non potevo essere perfetta? Ci provavo da anni ormai, ma ancora non ci ero riuscita. Dovevo rassegnarmi, forse non ce l'avrei mai fatta. Quel mondo sembrava lontano anni luce da me e, più mi avvicinavo, più lui scappava da me. Sembrava un gioco, un gioco doloroso che volevo vincere a tutti costi, anche facendomi del male. Proprio come un amante dei fiori, voleva raggiungere una rosa ma ogni volta con le sue spine lo faceva tornare indietro. Più mi avvicinavo, più soffrivo.
Una fitta alla gola mi fece girare la testa.
Altro conato, sentii le gambe deboli. No, no, no.
Mi appoggiai al muro con una mano mentre l'altra era ferma sulla mia gola. Stai calma Cassandra.
Presi respiri profondi e alzai gli occhi chiari ormai lucidi e sgorganti di lacrime in un tentativo di fermarle o, perlomeno, rallentarle.
Stavo male. Ancora.
Succedeva spesso, minimo una volta a settimana. Una volta a settimana nella quale non mi piacevo, dove avrei fatto di tutto per cambiare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 17 ⏰

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