Li aveva contati uno per uno: erano dodicimilasettecentoventitré. Esclusi gli animali, ovviamente. Per l'esattezza dodicimilacinquecentosettantasette stavano schierati su di un fronte, mentre centoquarantasei nell'altra fazione.
Giudicando i freddi numeri, l'esito pareva già scritto.
Ma di quei centoquarantasei, tolti dodici sguatteri, due cuochi, un avvocato e tre meretrici, i restanti centoventotto erano tutti stregoni. Uno dei quali, tra l'altro, era il promotore del conflitto. E quando c'erano in ballo degli stregoni nulla si poteva dare per scontato.
Motivo per cui aveva chiesto i rinforzi.
«Per carità, io una mano te la do volentieri, ma non mi sembra poi una situazione così ingestibile» commentò la minuscola figura al suo fianco, senza muovere d'un pelo la cappa sotto cui si nascondeva. Era poco più alta di un topo e, a giudicare dalla scheletrica zampetta che reggeva la piccola falce, probabilmente era un topo. O quantomeno lo era stata.
«Fidati, sarà un lavoraccio. Certe cose le percepisco» ribatté lei, restando in egual maniera nascosta sotto una cappa nera, del tutto simile a quella del collega. Anche la falce era identica, seppur dieci volte più grande.
«Dici così per via del drago?»
Effettivamente, tra gli animali che aveva escluso dal conteggio, c'era un rettile volante del peso di almeno dieci tonnellate, e a controllarlo era quello stesso stregone la cui arroganza li stava costringendo tutti lì.
«No, dico così per quel tipo buffo che sta a cavallo del drago.»
In quella umida mattina d'inizio primavera, nessuno dei presenti sulla Piana del Rimpianto avrebbe osato apostrofare il cavaliere sul drago con l'epiteto "tipo buffo", neppure il drago stesso. Ma Morte era abituata a farsi beffe dei timori terreni che attanagliavano gli esseri umani. Motivo per cui rincarò la dose: «Quel ridicolo ometto puzzava di guai ancor prima di venire al mondo.»
Malacchio De' Linacchi, meglio conosciuto come Malachia l'Ombroso, era effettivamente uno avvezzo ai guai. Era anche piuttosto buffo, a tratti forsanche ridicolo, ma da molto tempo nessuno lo notava più.
Era nato sessantanove anni prima in quella stessa magione che ora fungeva da suo fortino, ma che un tempo era stata la dimora estiva della nobile casata De' Linacchi.
Morte ricordava chiaramente quel giorno (come ricordava chiaramente qualunque altro giorno della recente eternità) e se avesse avuto un interesse particolare nel descrivere quella reminiscenza, avrebbe sicuramente usato il termine "spiacevole".
Il piccolo Malacchio aveva mostrato la sua indole già prima d'uscire dal ventre della madre. La povera donna, la contessa Aginolfa Delli Arseppi, era stata infatti colta dalle doglie con due mesi d'anticipo, il che aveva costretto un paio di domestiche a improvvisarsi ostetriche e obbligato Morte a presenziare all'evento.
Non che fosse una novità, a Morte capitava spesso di partecipare ai parti, ma raramente di vederne uno con tanto spargimento di sangue. La contessa era parsa addirittura sollevata quando, dopo sette ore di travaglio, era arrivata al suo cospetto.
Fu così che il bimbo ebbe l'austera figura del padre come unico riferimento. Il conte Collecchio De' Linacchi non era infatti uomo di piacevole compagnia, anzi, pareva trarre più gioia dal conversare da solo. Non era raro vederlo intrattenere lunghe discussioni con se stesso mentre percorreva a grandi falcate il suo studio, reggendo spesso un libro, talvolta un pitale. Più difficile era sorprenderlo a rivolgere un saluto al figlio, se non quando il piccolo Malacchio gli correva incontro reggendo il pitale come un trofeo.
Cosa raccontasse con tanto impeto all'oggetto nessuno lo ha mai saputo, di certo quando Morte tornò in quella casa, cinque anni dopo, lo trovò alquanto confuso. Il conte, infatti, si ostinava a negare che il suo corpo giacesse riverso sul tappeto dell'ingresso, dopo una caduta dal ballatoio del piano superiore che gli era costata la frattura del parietale e dell'occipitale. A suo avviso la sua anima era rinchiusa nel pitale ancora stretto nella mano del cadavere, motivo per cui non poteva abbandonare quella dimora.
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Il polpettone della bibliotecaria
FantasíaTerno e Leodina non sono più giovani, e il destino li ha costretti a reinventarsi una nuova vita. Ma per due intellettuali trovare un nuovo lavoro, in un mondo feroce dove vige ancora la legge del più forte, sarà un'avventura.