2. Non è un lavoro per vecchi

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Uscì dalla bottega senza voltarsi, esasperato da parole che volevano essere di conforto ma che udite per l'ennesima volta suonavano canzonatorie.

Fece girare lo sguardo lungo la strada: gli rimaneva un tentativo con l'usbergaio. Lo aveva lasciato ultimo per un puro caso, nonostante fosse uno degli artigiani il cui lavoro più lo impressionava: era ammirevole la capacità con cui trasformava il metallo in vesti elastiche e resistenti. Nonostante la pace avesse cancellato la memoria dei sanguinosi conflitti di cui il passato si era macchiato, le cotte di maglia restavano un'armatura molto apprezzata dai tanti appassionati, e usata con soddisfazione da tutte le forze dell'ordine. Per questo l'usbergaio aveva sempre un gran daffare.

Quando Terno entrò timidamente nella bottega, stava lavorando con maestria quasi sovrumana i piccoli anelli con cui poi avrebbe intessuto le sue creazioni.

«Buonasera messere, in cosa posso servirla?»

Era successo anche nelle altre otto botteghe: un uomo di mezza età, in abiti eleganti e dal portamento colto e raffinato, non poteva che essere un cliente. Anche per questo la sua richiesta generava immancabile imbarazzo: «Buonasera a lei, Maestro. Sto cercando un lavoro e mi domandavo se non avesse un impiego che un bibliotecario caduto in disgrazia potesse svolgere con soddisfazione di entrambi.»

L'anello scivolò dalle pinze dell'artigiano, cadendo con un allegro tintinnio e rendendo la situazione ancor più surreale. «Quanti anni ha?» fu la domanda successiva.

Gli era già chiaro dove sarebbe sfociato il colloquio, ma rispose ugualmente con cortesia: «Quarantadue.»

L'artigiano, probabilmente, ne aveva pochi meno.

«Vede, questo mestiere s'impara da giovani, quando le mani sono ferme e forti, ma solo dopo anni di esercizio si può tessere la prima cotta. Mi farebbe piacere trovare un apprendista volenteroso, i giovani d'oggi son fatti d'altra pasta, ma per un uomo della sua età...»

«Non pretendo tanto» intervenne Terno. «Magari qualcosa come garzone, o dove possa servire leggere e scrivere.»

«Un garzone ce l'ho, e lo pago già molto poco. Per le tasse, poi, c'è il contabile della corporazione.»

«Certo, capisco. Ci ho provato. Ripasserò tra qualche tempo, nel caso venisse a conoscenza di un'opportunità.»

«Spargerò la voce tra i miei clienti» disse l'artigiano quando Terno ormai gli aveva voltato le spalle.

Chissà, forse, se anche solo la metà di coloro che si erano detti pronti ad aiutarlo l'avessero fatto davvero, avrebbe trovato un impiego in meno di un mese. Ma sapeva bene che il giorno successivo nessuno si sarebbe più ricordato di lui.

L'ex bibliotecario s'incamminò a ritroso lungo la strada dei mestieri, portando sulle spalle un carico di angoscia e frustrazione. Mai come in quelle lunghe giornate si era sentito tanto vecchio e inutile. Avvertiva nelle ossa ogni secondo dei suoi anni, e la consapevolezza di essere ormai un peso per sé stesso e per la società, non faceva che aggravare il fardello.

Era come essere già morti.

Si fermò sul Ponte delle Sei Contrade e affacciandosi alla balaustra accarezzò quel pensiero: sotto non scorreva un fiume ma una delle vie più trafficate di Firmiona, l'impatto con la dura pietra, però, avrebbe garantito il medesimo risultato.

In un battito di ciglia mise sulla bilancia le conseguenze. Da una parte il sapere accumulato in oltre venti anni perduto senza più speranza di condivisione. Dall'altra una vecchiaia fatta di povertà ed emarginazione evitata con la dignità della disperazione.

In fondo pareva una scelta semplice, una scelta che anche Leodina avrebbe compreso. Il pensiero della moglie, però, dissipò ogni dubbio.

Quando giunse a casa la trovò che dissimulava l'ansia dell'attesa tra i fornelli, come aveva fatto tutti i giorni nell'ultimo mese.

Lei, neppure aveva iniziato quella vana ricerca.

Terno si fermò sulla porta e si slacciò lentamente gli stivali, illudendosi di poter procrastinare il momento del confronto. Ma Leodina gli si fece incontro guardandolo con occhi che supplicavano buone notizie.

Lui scosse la testa, senza il coraggio di guardarla. Lei tornò silenziosamente in cucina.

Terno restò nella penombra a osservare i gesti lenti e misurati della moglie mentre, con una sapienza data da anni d'esperienza e saggi consigli, tagliava fette da una polposa coscia d'agnello. Quella era l'ultima carne che si sarebbero potuti permettere da lì a molto tempo. Forse era l'ultima e basta. Leodina era brava a preparare l'agnello e ne teneva sempre per le occasioni speciali. Quella, in effetti, poteva considerarsi tale, anche se non c'era di che festeggiare.

Entrò in cucina, guidato dal ritmo frenetico del coltello sul tagliere, che ora sminuzzava con rapida precisione le erbe aromatiche da accompagnare alla carne. Alcune ricette le aveva ereditate dalla madre, molte invece venivano dalla biblioteca. Quella, lo ricordava bene, era appuntata a margine di una copia stampata a pressa del "Manuale bellico montano": era stato lui a trovarla e a ricopiargliela sul suo personale ricettario.

«Partiamo.»

La voce della moglie lo sorprese, più per il tono che per la parola pronunciata. La sua non era una domanda.

«Vendiamo casa, compriamo un carro, carichiamo le nostre cose e partiamo.»

Era la frase più lunga che avesse detto nell'ultimo mese: Leodina non era di molte parole, ma tutte quelle che uscivano dalla sua bocca erano soppesate al milligrammo.

«Per andare dove?» le chiese, incerto se temere la risposta o aggrapparsi ad essa.

«Ovunque, purché la fine non ci trovi immobili ad attenderla.»  

Il polpettone della bibliotecariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora