Capitolo 2 - ALBERTO

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CAPITOLO 2

ALBERTO

Mi tolgo la cravatta, apprezzando ancora una volta il nodo perfetto che sono stato capace di fare. Incredibile. "Tutto merito di mio padre" penso e immediatamente mi ritorna in mente la telefonata avuta poco fa con lui e mia madre.

«Beddazzi miei...Ce l'ho fatta! Sono entrato!»

Avevo pronunciato queste parole con il cuore in gola e ancora tremendamente emozionato. Loro, in vivavoce, hanno urlato di gioia e commossi mi hanno ripetuto infinite volte quanto fossero fieri di me e che adesso avrei davvero avuto l'occasione per dare il mio meglio.

"Amici" solo due anni fa era stata per me una porta che mi si è chiusa in faccia violentemente e prepotentemente. Solo loro sanno quanto fatica abbia fatto a riprendere quota dopo quella caduta.

Avevo fatto i provini ma ero stato scartato al primo step. Era stata per me una delusione cocente, non tanto perché fossi convinto di essere più bravo degli altri o di meritarmi un posto in quella scuola a tutti i costi, ma piuttosto per il modo in cui mi era stato detto quel "no". Tra le righe avevo capito subito che il problema non era la mia voce, non ero io, il problema era il mio genere.

Sono un tenore, o almeno, diciamo che sono un tenore per gli altri. Io mi sento semplicemente un cantante, un ragazzo che ama fare musica. Il fatto che il mio genere sia la lirica non esclude che si tratti sempre di musica, alla fine è sempre Lei, è una sola, quella che canta Bocelli in "Vivo per lei".

La musica è una medicina per l'anima, la cura più dolce e potente, è un libro che puoi leggere anche ad occhi chiusi, serve solo avere un cuore. Chi ama la musica la ama in ogni sua sfumatura, in ogni melodia, in ogni acuto, in ogni nota, alta o bassa che sia. Per me è così. Ascolto di tutto e non c'è un genere che escludo a priori, mi emoziona "O sole mio" così come mi emoziona "A te" di Jovanotti, e potrei fare mille altri esempi.

La lirica mi ha sempre affascinato fin da quando ero poco più alto di un estintore e mio padre organizzava spettacoli estivi a Torre Faro. La sera assistevo ai concerti sulle ginocchia di mia madre e poi il mattino dopo ero io stesso ad esibirmi imitando quello che avevo visto il giorno prima. Lo facevo per gioco eppure qualche anno mi ritrovai in tv nel programma di Antonella Clerici su Rai1 "Ti lascio una canzone". Ero un piccolo arancino con i piedi, cicciotello e buffo, ma con gli stessi occhi sognanti e felici nel fare ciò che più mi piaceva: cantare.

È stata un'esperienza breve ma intensa, una raccolta di tutte le mie prime volte che hanno a che fare con la musica: la prima volta che ho cantato in pubblico, la prima volta in televisione, le prime assegnazioni, la prima volta che mi sono sentito chiamare "tenore".

Da quel momento quello è diventato un po' il mio soprannome.

«Lo conosci Alberto Urso, quello lì, il tenore?»

Io ne ero fiero. Non importa se lo dicevano con tono dispregiativo e quasi cattivo, io ne ero immensamente fiero. Lo sono stato la prima volta che mi è stato affibbiato questo termine, lo sono stato quando ho scelto di laurearmi in canto lirico e lo sono adesso, oggi più che mai.

Oggi che il destino ha aperto questa porta, oggi che ho stretto tra le mani per la prima volta la felpa di "Amici" con sopra scritto semplicemente il mio nome: Alberto.

E' stato Stash a scovarmi e a proporre alla commissione il mio ingresso nella scuola dopo aver saputo che quest'anno erano alla ricerca di un tenore.

Ricevetti la chiamata della produzione un pomeriggio di metà novembre. Mi dissero che avrei dovuto passare al vaglio della commissione prima della formazione delle due squadre che sarebbe avvenuta intorno ai primi di dicembre.

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