A thousand paper cranes

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-Settembre-

Se intrecciava le mani distendendo per bene le dita, curvava l'indice e puntava la luce verso di esse, riusciva ad ottenere la sagoma desiderata proiettata sul muro color sabbia, e restava così, ad allungare e a dispiegare le braccia, simulando lo sbattere delle ampie ali dell'animale. Rimaneva a fissare quell'ombra per minuti interi, come se potesse concretizzarsi da un momento all'altro e portare con sé il suo desiderio, proprio come secondo la leggenda.

Sorrise mestamente e poggiò i palmi sul petto, facendoli sollevare lentamente al ritmo del suo respiro, poi volse lo sguardo alla scrivania: una pila di fogli si stagliava su di essa, in attesa. Mille, per l'esattezza.

E lui avrebbe dato vita ad ognuno di essi.

-Dicembre-

Gli arbusti si piegavano ad ogni soffio del vento, e lui li osservava oziosamente col volto posato sul mento e gli occhi che lanciavano rapidi sguardi al professore Pyxis, una ruga d'espressione che gli solcava la fronte mentre leggeva una poesia del celebre scrittore Giovanni Pascoli e le dita che, di tanto in tanto, rincorrevano gli occhiali che gli scivolavano sul naso pronunciato. Accadde una, due, tre volte, che le sue pupille vigilassero l'uomo, finché non fu certo che fosse completamento assorto nella lettura, il volto greve per la concentrazione e le labbra arricciate in un'espressione buffa. Ed accadde un'unica volta, che lo sguardo scivolasse oltre la sua figura, sul profilo di chi, proprio come l'adulto, sembrava stesse infondendo ogni briciolo del suo interesse nell'inchiostro impresso su carta.

Fu solo per quel motivo che decise di fare lo stesso, semplicemente per capire cosa stesse catturando la sua attenzione al punto tale da avere gli occhi magnetici incatenati al foglio e gli incisivi affondati nel labbro inferiore, come se quella lettura lo stesse catapultando nei ricordi di qualcosa di recondito, a sua volta inconoscibile.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Da un pezzo si tacquero i gridi.

Lo guardò di nuovo, soltanto per assaporare per un secondo in più la sua bellezza senza essere notato da nessuno.

Come gli occhi sotto le ciglia.

Poi, il corvino sussultò, ed Eren se ne sentì disorientato: ora gli occhi di tutti erano su di lui, e quelli di colui che aveva osservato sino a quell'istante erano meravigliati, sgranati per la sorpresa.

Il castano avvampò dalla testa ai piedi di fronte alla consapevolezza di essere stato colto in flagrante e, per tentare di ovviare all'umiliazione che l'aveva travolto come una secchiata di acqua gelida, si strinse fra le spalle. Si avvicinò ancor di più alla finestra, come se in quel modo potesse fondersi col vetro e passare oltre di esso.

Pyxis lo soppesava con sguardo truce e le braccia conserte, conscio che Eren fosse stato distratto nel corso della lezione, ma non ebbe il tempo di rimproverarlo che un rumore all'esterno dell'aula lo distrasse all'improvviso. Un istante più tardi vide i volti di ciascuno dei suoi compagni sospirare per il sollievo: la campanella era suonata, ed un'altra giornata era giunta al termine.

Scorse gli alunni sollevarsi per riordinare il loro materiale scolastico e lasciare la classe, un destino che non gli sarebbe toccato, dal momento che lui si sarebbe trattenuto in biblioteca a fare delle ulteriori ricerche sugli origami, piuttosto che tornare a casa e giacere inerme nel silenzio di casa sua.

Aveva bisogno che gli altri facessero rumore, un assordante caos infernale in grado di rintronarlo da cima a fondo, di fargli percepire l'essenza della realtà, la sua rude consistenza, e poteva farlo solo se in compagnia altrui. Ne necessitava ad ogni costo, anche se non poteva carpirlo, anche se non poteva sentirlo.

-Moonspots- EreRi|RiRenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora