In un giorno d'inverno

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C'è un ragazzo lì, su quel pouf con la stampa della statua della libertà statunitense, con il cellulare racchiuso fra i palmi e lo sguardo vacuo.
Gli altoparlanti del negozio cinese emettono in sottofondo una ninna nanna dolce nella lingua natia, nostalgica, che culla i suoi pensieri torbidi. Gli addobbi rosso carminio, oro ed argento lo avvolgono e risaltano in contrasto col suo umore, con la stanchezza che lo accompagna come un fantasma.
C'è un ragazzo lì, ma nessuno sa perché. Egli ha una storia, ma il passante che si sofferma a guardarlo dopo aver sceso le scale, intento a trovare le luci a LED per illuminare l'ingresso del suo appartamento, non la conosce. La immagina, ma non la sfiora mai, neppure azzarda ad avvicinarsi ad essa. C'è una valigia al suo fianco, di un rosso più spento rispetto alle ghirlande di plastica e ai vestiti da Santa Claus che puzzano di sintetico. Forse è un viandante, pensa l'uomo, o forse è un fuggitivo, un'anima che ha perso nel gelido inverno la sua tranquillità.

Fa freddo fuori, e magari, pensa, si è rifugiato nell'unico negozio del paesino per farsi permeare dal suo tepore confortevole, piuttosto che raffreddarsi al gelo di quei pochi gradi che la sera ha portato con sé.
Forse sta aspettando un treno, o forse è incerto sul tornare a casa. Levi non lo sa, ma forse, se decide di parlargli, lo scoprirà. Ma c'è un alone di refrattarietà che avvolge il ragazzo, e allora neanche quei pochi passi che l'uomo compie lo convincono che rivolgersi a lui sia la scelta adatta.
Perché c'è un ragazzo lì, su quell'ammasso di spugna che si dovrebbe definire comodo, e ha scelto come suo compagno il silenzio più assoluto.

Poi, poco più in là, una signora fa una smorfia sprezzante per manifestare il disgusto che nutre per quel giovane che neppure conosce. Afferra il braccio della figlia dai capelli arruffati ed il lungo cappotto fucsia e bestemmia a bassa voce un'oscenità, masticando un insulto rivolto ai forestieri che, a parer suo, infestano il paese e lo sfruttano come ponte di passaggio per spostarsi da una città all'altra.
Lo sguardo che egli le rivolge è assente: l'ha sentita, e pare essere neutrale a riguardo, o forse odiarla a sua volta.

Levi non lo comprende, ma vorrebbe intervenire per dirgli che deve evitare di attaccare briga con quella donna, risaputa per il matrimonio sconveniente con un uomo che padroneggia e reprime l'intero centro.
Vorrebbe, ma il ragazzo si alza, si avvicina passo dopo passo a lei e, solo quando è in procinto di controbattere velenosamente, Levi gli si para davanti, poggiandogli i palmi sul petto.
Lo invita a calmarsi, e l'occhiata indispettita che riceve gli fa temere di essere respinto a sua volta; invece il ragazzo cede, afferra il manico di stoffa della valigia cigolante e sale le scale per dirigersi fuori dal negozio.

L'adulto ha il cuore in gola, indeciso su come agire, ma soprattutto su cosa dovrebbe dire a quella creatura dall'indole vulcanica e incandescente.

Seguono dei secondi di nulla, prima che decida di partire al suo inseguimento, superare le porte scorrevoli e gettarsi a capofitto nella coltre di nebbia candida che aleggia nel parcheggio.
I fari di un'auto sono accesi, ma non riesce a vedere chi si celi al suo interno.
Non si avvicina neppure, bensì è l'automobile grigia a procedere cautamente nella sua direzione, mentre sotto la gomma delle ruote l'asfalto bagnato gracchia insofferente.
Gli si affianca e, quando il finestrino si abbassa, lo spicchio di luce aranciata del lampione alle sue spalle illumina metà del volto del proprietario, rispettivamente l'occhio e la bocca, come un quadro di Picasso.

È bello, lui. Fresco come un bocciolo di giovinezza, una boccata di libertà.
E, stranamente, Levi prova l'estenuante desiderio di parlargli, perché lui raramente distanzia le labbra per pronunciare qualcosa, sempre così schivo verso le persone che anche il Natale ha perso l'essenza fondamentale che sua madre gli aveva trasmesso da bambino. Ma Levi è rimasto solo, perché Kuchel è venuta meno anni e anni prima, e Furlan e Isabel, suoi amici da tempo immemore, si sono trasferiti altrove per lavoro, scegliendo la convivenza che ben presto sfocerà nel matrimonio.
E lui è rimasto indietro, ed è solo.

-Grazie.- gli dice sommessamente, un po' riluttante a dirla tutta, come se non sia certo della scelta fatta.

Levi lo guarda, perché è lui che in realtà vorrebbe ringraziarlo. Poiché percepisce anche a distanza la fiamma che quel giovane cova nel suo corpo, lo spirito del coraggio, dell'impulsività, del rischio che lui ha perso da tempo.
Ed è per questo motivo che gli fa cenno col capo e simula un vago sorriso, tutto ad un tratto sentendo la pelle delle mani tendersi ed incresparsi per via del freddo. Così affonda i palmi nelle tasche e gli dà le spalle, incamminandosi verso casa a passo flemmatico e con un'ambigua leggerezza nel petto.

-Io sto andando in un bar, per... - inizia il moro, e l'uomo si volta in quel momento, mentre dalla bocca sottile e spaccata si leva una nuvola di condensa. Lo vede passare nervosamente le dita fra le ciocche scure, per poi ricondurle sul volante di similpelle. -... Insomma, non ho voglia di tornare a casa mia, quindi sto andando in un bar a trascorrere la Vigilia. Ti... Ti vuoi unire?-
​È incerto, forse anche un po' vergognoso per via della proposta che, al giudizio altrui, potrebbe apparire bizzarra ed insignificante. Invece per Levi significa molto di più di quanto egli possa credere, quasi uno di quei tanti declamati miracoli di Natale di cui Kuchel parlava sempre.

È così che un'altra storia è incominciata: essa ha avuto origine dalla somma di due esistenze incomplete, dal prodotto di due solitudini.

In un giorno d'inverno.

***
Bonsoir a tutti, cari lettori!
Bon, dieci minuti fa ero seduta su un pouf con le stampe della statua della libertà impresse sulla stoffa, una canzoncina rilassante in sottofondo e gli addobbi di natale sugli scaffali, con la mia fedele valigia rossa e la borsa del PC al mio fianco. Poi ho sentito una signora fare un commento poco gradevole sugli stranieri, e la cosa, come al solito, mi ha colpita notevolmente.
Ho perso il treno, nulla di troppo romanzesco😅😂, così mi sono rifugiata nell'unico negozio ancora aperto la domenica sera (santi, un giorno li farò santi i proprietari). E nulla! Ho pensato a questa situazione un po' così, un po' pensando a me, e un po' riflettendo su quanto sia affascinante immaginare le motivazioni per le quali tutti i viandanti che incontriamo stiano partendo. Il dubbio stesso di dove si stiano dirigendo puntualmente alimenta la mia fantasia, e non smetterò mai di avere questa passione spasmodica per i treni, ponti infiniti fra località lontanissime.
Ed ora, buon 8 dicembre a tutti e gambatté con l'albero di natale! (Io mi sono già data da fare qualche settimana fa, giusto per rallegrare una casa di universitarie fuorisede 💕🎅)
A presto!
-Sel 🌙 🎶

-Moonspots- EreRi|RiRenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora