Capitolo 4.

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Flashback.

Durante i miei due lunghi anni di viaggio con mia madre tutto andò a rotoli. La mia vita. Non so spiegarmi come successe. Ma successe. Era un lurido giorno di novembre e riuscivo a vedere solo le tenebre in quelle nuvole grigie. Riusivo a vedere solo grigio. E i miei occhi si stavano pian piano abituando al buio del mondo. Mia madre era a quello stupido colloquio per trovare un lavoro. E io decisi che stare sola in casa non mi faceva bene. La cosa schifosa di quella casa? I muri: anche loro grigi. Il grigio portava tristezza nella mia luce e io soffrivo stando seduta sul divano di stoffa nera guardando il vuoto. Così camminai lentamente verso l'ingresso. Presi il cappotto e il cappello di lana e uscii. Il percorso casa-ospedale per andare da mia madre era davvero breve. Infatti, dopo pochi minuti, mi ritrovai in quello che dovevano definire ascensore. Ugh. Piano tre. Posso ricordare solo questo. Mia madre lo ripeteva sempre. Piano tre. L'odore nauseante non è di certo piacevole e il grigio aveva ancora la meglio. Il mio pianeta grigio ha la meglio e io non posso farci nulla. Il corridoio è deserto mentre leggo in una porta: "reparto pschiatria giovanile". Bene. Non è la mia giornata. Ho sbagliato anche piano e sento freddo in questo piano buio e deserto. Ad un tratto il rumore di due passi mi fanno venire i brividi lungo la mia pelle bianca lattea. Il rumore di altri due passi rumorosi attraversarono i miei timpani. Mi girai di scatto e davanti a me comparse un ragazzo in tuta nera. Le maniche alzate lasciavano intravedere graffi e il suo collo aveva una lunga cicatrice. Cercai di scappare perché quell'uomo faceva paura. Troppa. Entrai nell'ascensore. Ma lui era più veloce di me. Entrò. Iniziò a premere pulsanti a raffica bloccandolo del tutto. Si avvicinò a me iniziando a toccarmi. Volevo andare da mia madre salva. Mi dimenai ma le mie forze non erano più quelle di un anno fa. Vedendo la mia opposizione mi diede uno schiaffo sul viso. Urlai così forte da diventare rossa nelle guancie. In pochi secondi il mio cappello si ritrovò per terra e sentii la sua mano sui miei capelli. Li tirò senza alcuna pietà facendomi sollevare ad un palmo da terra.

"Ti prego!"- sussurai.

Un velo pietoso di lacrime si era impadronito dei miei occhi vuoti. Un altro pugno.

"Ti prego!"- non lo sopportavo più.

Mi dimenai ancora una volta. Mi fece stendere a terra. Togliendomi cappotto e maglietta. Dio.

"Basta! Ti prego!"- a quanto pare non serviva.

Un calcio arrivò sullo stesso punto di prima. E un pugno sulla mia mascella destra mi fece sputare sangue.

"Basta."- sussurrai senza forze.

Il mio mondo grigio si era colorato di nero. Un nero spento che aveva preso il possesso del mio corpo.

FineFlashback.

Dovevo solo riuscire a far guarire le ferite dal mio corpo e dal mio cuore. Dovevo solo far passare il tempo. Molti adulti dicono che questi sono gli anni più belli della nostra vita, che dobbiamo sfruttarli, che non dobbiamo farceli scappare con un soffio di vento, che dobbiamo rincorrerli e prenderli. Molte delle volte non abbiamo il coraggio di inseguirli, ci arrendiamo così facilmente che ci accasciamo su noi stessi, facendoci soffocare dall'odio delle persone, penso che moriremo asfissiati. Una piccola parte del nostro cuore muore quando succedono queste cose e per fare guarire questa piccola, ma importante, parte ci vuole tutto l'amore possibile che non ho. Ecco quello che succede. Considerato inutile, ma succede.

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ChiaraeMirea

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