Daenerys, di nero vestita, sedeva su una sedia di legno di noce. Le mani si lisciavano le pieghe del suo lungo vestito quasi compulsivamente, sembrava essere in fremente attesa. Lo sguardo azzurro perso nelle fiamme ardenti del camino della sua stanza: aveva pensato alle parole del suo fidato consigliere Tyrion per giorni; la routine a Grande Inverno sembrava statica, tra il forgiare nuove armi necessarie alla lotta contro gli Estranei e la diffidenza che il popolo del Nord provava per la sua persona.
Sembrava che la fiducia incrollabile di Jon Snow non bastasse per convincere gli altri delle sue ragioni, la sola contrarietà di Sansa era sufficiente per essere guardata con sospetto.
- Vostra altezza. - fu il leggero bussare di Missandei a destarla, mosse leggermente il capo come a riprendersi dal turbine di pensiero che formavano la sua mente.
- Sì? -
- Ser Jaime Lannister è qui fuori: posso farlo entrare? -
Quell'incontro era stato fortemente suggerito dal fratello dell'uomo che stava dietro la sua porta, un incontro che pareva somigliare ad un chiarimento, almeno secondo i progetti.
- Sì, Missandei. Può entrare. - pronunciò solenne Daenerys, alzandosi dalla sedia con lentezza.
Dinanzi a lei, si erse la figura ingombrante del cavaliere di Castel Granito: i capelli accuratamente pettinati, la folta barba a coprirgli la mascella e gli occhi verdi che brillavano di curiosità.
Missandei arretrò di un passo, congedandosi con un leggero inchino, prima di sparire per chissà quale direzione, probabilmente nelle braccia di Verme Grigio.
- Altezza... - salutò il biondo di casa Lannister, mimando un inchino piuttosto teatrale verso la donna, il solito sorriso scintillante sul volto.
Daenerys non rispose, si limitò ad osservarlo attentamente. Fece qualche passo verso di lui.
- Se avessi la stessa intemperanza di mio fratello Viserys, avrei dovuto darti in pasto ai miei draghi. -
- Ma tu non sei tuo fratello, o sbaglio? -
Daenerys trovò la sua risposta piuttosto insolente, per quanto acuta: sembrava che l'uomo che aveva davanti non avesse paura di niente, nemmeno della morte
- No. - concordò lei, abbozzando ad un leggero sorriso quasi soddisfatto. - Viserys bramava il trono più di ogni altra cosa, mi avrebbe preferita morta se questo gli avesse permesso di diventare re. - disse, sfiorando con la punta delle dita le pietre calde del camino.
Jaime puntò le sue iridi verde smeraldo sulla figura giovane della Targaryen: somigliava a sua madre più di quanto si aspettava, ma aveva un atteggiamento apparentemente più sicuro, più spavaldo, come se fosse convinta a pieno delle sue potenzialità e della sua riuscita.
- Non dirmi che tu non brami il trono. - gli rispose di rimando, con fare eloquente, avanzando qualche passo verso di lei.
- Il trono mi spetta di diritto... -
- Il trono spetta a chi lo conquista. E sono i discendenti di Robert Baratheon che lo meritano. -
Daenerys sollevò le spalle, come a volersi prendere gioco di lui.
- Non vedo discendenti dei Baratheon in circolazione. Sono tutti morti ormai, anche quelli che si spacciavano per tali. -
Quella frase ebbe un effetto su Jaime che mai si sarebbe aspettato: sentì una fitta allo stomaco, simile al dolore che si trova nell'avere un pugnale conficcato nel ventre.
I figli di Robert - o meglio, i suoi - avevano trovato un tragico destino: se quello di Joffrey era stato inevitabile, altrettanto non si poté dire di quello di Tommen e Myrcella, morti a causa delle ripercussioni delle azioni dei Lannister.
- Si può sapere che cosa vuoi da me? - domandò spazientito il Leone, socchiudendo gli occhi quasi dolorosamente.
- Voglio sapere ogni cosa. - rispose freddamente la bionda. Raccolse un respiro, avrebbe dovuto moderare i toni. - Tu hai vissuto ad Approdo del Re sotto il regno di mio padre. Tu conosci un passato che io non so. - sussurrò lei, distogliendo rapidamente lo sguardo dal Cavaliere.
- Non so niente di più di ciò che già sai. Conosci l'epilogo, no? - sputò lui quasi con cattiveria, mettendo su un ghigno che stonava con la solennità dei suoi tratti somatici.
Daenerys si voltò verso di lui, un'espressione quasi disgustata in volto. - Non parlo della morte di mio padre, ma della vita di mia madre e mio fratello. - pronunciò a denti stretti la giovane, spalancando gli occhi.
Jaime distolse lo sguardo: era stato una delle Guardie Reali di Aerys il Folle, ma aveva fallito nell'intento di proteggere Rhaegar, i suoi figli, e la regina Rhaella.
- Non ho niente da dire... -
- Oh, invece credo che tu abbia molto da dire. - rispose lei prontamente.
Venire a conti con il passato era qualcosa che Jaime evitava di continuo: la sua coscienza cominciava a dare cenni di cedimento, l'incontro con Brienne aveva cambiato ogni cosa, ma la consapevolezza di avere amato una donna come Cersei e aver giustificato ogni sua intemperanza solo per un sentimento a senso unico lo aveva definitamente destato da quello stato di apatia totale.
- Ammiravo tuo fratello. - rispose Jaime, quasi in un mormorio, sedendosi stancamente su una sedia libera in un tonfo. Poggiò il braccio buono sopra il tavolo e si coprì il volto.
- Avrei voluto essere come lui: era intelligente, bravo con la spada... Il cavaliere perfetto. Sarebbe stato un gran re e non ti nascondo che si vociferava di mettere al trono Rhaegar, uccidendo prima tuo padre. -
Daenerys stette in silenzio, osservava l'uomo raccontare quelle parole: tutti le avevano detto del valore di Rhaegar, ma nessuno le aveva mai parlato di complotti. Si mise a sedere, in silenzio, senza distaccare il contatto visivo da lui.
Jaime alzò il volto e guardò con passività l'aspirante regina e riprese a parlare, sembrava che avesse smosso una valvola e che le parole fossero più che mai necessarie.
- Oltretutto, trattava tutti come suoi pari: io ero il più giovane tra le Cappe Bianche, eppure non ho mai visto derisione nei miei confronti da parte sua. Mi teneva in considerazione e sembrava quasi ammirare la mia posizione raggiunta in così giovane età. - Jaime vagò con i ricordi a tanti anni prima, quando era solo un ragazzo con tanti sogni e un amore sviscerare per la sua gemella. Era diventato una Guardia Reale per starle accanto, eppure ciò che aveva agognato, ovvero l'essere qualcuno, un cavaliere glorioso, era stato in realtà la sua rovina.
Rhaegar Targaryen aveva riversato la sua fiducia nel giovane Leone, una fiducia dettata dalla speranza nelle nuove generazioni e, nel caso di Jaime, nel talento di un ragazzo capace.
Si massaggiò le tempie, abbassò lo sguardo verso il tavolo di legno, come se improvvisamente avesse mille opportunità da offrire.
- Tua madre... Non ho mai visto una donna più triste. Una bellezza angelica circondata da un alone di malinconia inespugnabile. - la regina Rhaella aveva chiuso i suoi occhi ben prima della sua morte, probabilmente aveva iniziato a morire lentamente dopo il suo matrimonio, infelice sin dal suo preludio.
- Amava i suoi figli, ma detestava con tutte le sue forze suo marito. Un uomo detestabile, squilibrato. - alzò lo sguardo verso la giovane Targaryen, il volto profondamente serio e risoluto. - Non mi sono mai pentito, nemmeno per un giorno, di aver ucciso tuo padre. - sibilò con fierezza, alzando il volto in un'espressione quasi altezzosa, come se volesse difendersi dalle parole che sarebbero uscite fuori.
Ma dall'altra parte, aveva una donna con gli occhi colmi di commozione, lucidi nel sentire quel passato che non aveva mai conosciuto, affranti dal non poter aver vissuto sua madre e suo fratello Rhaegar, che sarebbe stato un esempio ben diverso da quello che le aveva dato Viserys.
Jaime assottigliò lo sguardo, sembrava spiazzato da quel repentino cambio d'umore della "regina d'argento".
Daenerys prese un lungo respiro, come se volesse in un qualche modo imprimere un'immagine sconosciuta nella sua mente.
- Tutti odiavano mio padre. Lo so. Era un uomo... spregevole. - mormorò Daenerys, avanzando qualche passo verso il Lannister. Improvvisamente, si comportò totalmente fuori personaggio, un atteggiamento che mai si sarebbe sognata di fare in sua presenza: si chinò su di lui, poggiando i palmi delle mani aperte sulle sue ginocchia, piegò le gambe sul pavimento, uno sguardo assolutamente triste.
Jaime strabuzzò gli occhi e si mise dritto con la schiena, la bocca leggermente aperta e un'espressione indecifrabile sul volto precedentemente fiero.
- Ma perché non hai fatto niente per salvare Rhaegar? Perché non hai fatto niente per salvare mia madre? - gli domandò con un sussurro spezzato, la voce quasi rotta dalle lacrime che avevano deciso prepotentemente di bagnarle il viso.
Jaime sentì l'ennesima fitta al cuore, un dolore lancinante come una ferita di guerra, lo stesso dolore che aveva provato pochi attimi prima nel ripensare ai volti dei suoi figli morti.
Distolse lo sguardo dalla giovane, come se si sentisse in imbarazzo.
- Credi che non volessi? -
- E allora perché non l'hai fatto? - domandò Daenerys a voce più alta, le braccia che tremavano sopra le gambe dell'uomo, che si costrinse a guardarla negli occhi.
- Non l'ho fatto perché tuo padre ha ordinato che la mia presenza fosse vicino a lui, ad Approdo nel Re, ma non per la sua sicurezza come voleva far credere, ma solo perché così aveva un ostaggio prezioso per mio padre. - Daenerys storse la bocca: Tywin Lannister era stato l'autore degli omicidi di Elia, Rhaenys e del piccolo Aegon Targaryen, non l'aguzzino certo, ma il chiaro mandante.
- Mi aveva ordinato di portargli la testa di mio padre, mentre io avevo implorato Rhaegar di portarmi con sé: era l'unico che reputavo degno del trono, l'unico che potesse essere capace di essere un buon re. E lui mi disse che non avrebbe mai osato togliere il mio valore a suo padre. Quando provai a ribattere, lui mi guardò: "Quando questa battaglia sarà conclusa, intendo convocare il concilio ristretto. Molte cose cambieranno. Era mia intenzione farlo molto tempo fa ma... be', è inutile rimpiangere strade mai imboccate.", disse. "Parleremo al mio ritorno." e se ne andò con il suo esercito verso il Tridente. Tridente, dove trovò la morte. - Jaime Lannister aveva la bocca impastata, quella parte della sua esistenza sembrava essere stata dimenticata. Ad eccezione della sua famiglia e di Brienne, non aveva detto a nessuno quei particolari così dolorosi. Eppure si sentì di dirlo a quella giovane Targaryen che lo guardava quasi supplicante, come se il solo dirlo potesse aiutarlo a farsi giustizia almeno moralmente. Sospirò pesantemente. - Era il mio principe e Aerys era il mio re. Rimasi ad Approdo del Re. Giurai di proteggerlo sino alla fine, fino a quando non decise di voler far saltare in aria la città con l'Altofuoco. Fu allora che... - rivide quell'immagine con incredibile definizione nella sua mente: aveva sguainato la spada con una certa agilità e aveva conficcato la spada nella schiena del Re Folle, spada che grondava del sangue del Re Targaryen, spada che non si curò di ripulire, spada che aveva lasciato le sue tracce color porpora lungo tutto il pavimento, in copiose macchie color porpora.
- Non pensavo che mio padre potesse dare l'ordine di uccidere i suoi figli. Rhaenys era una bambina vivace, dai colori tipici di Dorne. E Aegon... Aegon era così piccolo. - la sua voce si fece un sussurro, simile allo scrosciare del vento.
Si alzò in piedi, quasi ignorando la figura di Daenerys così vicina a lui, e si avviò verso la porta, poggiando la mano buona sul pomello.
Daenerys rimase sgomenta: erano cose che lei conosceva, ma ad eccezione di Barristan Selmy, nessuno le aveva mai raccontato certo dettagli della sua famiglia. Si sollevò lentamente in piedi, gli occhi gonfi, il viso arrossato.
- E mia madre? - azzardò la donna, osservando la schiena del Lannister. Jaime si prese qualche secondo prima di parlare, il silenzio sembrava comodo in quella situazione.
- Tua madre piangeva e urlava tutte le notti: tuo padre... - sospirò ancora: aveva protestato ogni giorno della sua Guardia di quello scempio, degli stupri continui e delle violenze gratuite nei confronti della Regina. E la risposta che si era sentito dare tutte le volte era "Abbiamo giurato di proteggere anche la Regina, ma non dal Re."
- Che gli Dei l'abbiano in gloria. Ha smesso di soffrire. - aprì la porta, avanzando sulla soglia. - I Draghi sono morti con Rhaegar. -
Fece per andarsene, ma la voce di Daenerys lo inchiodò alla porta: la donna strinse i pugni distesi sui suoi fianchi, lo sguardo tornò ad essere scostante, freddo.
- Sbagli, ser Jaime. Rhaegar non è l'ultimo Drago. -La sua vecchia septa sarebbe stata fiera di lei.
Sansa, con i capelli sciolti, sedeva su una poltrona posta appositamente sotto la finestra che rifletteva una luce fioca, l'ago tra le mani: aveva appena finito di ricamare un lupo sul mantello che aveva fatto per sua sorella Arya. Il disegno era preciso, il lupo, simbolo degli Stark, era ben evidenziato nonostante la pelliccia.
Sorrise appena della frivolezza di quell'atto così vicino alla ragazza che era stata un tempo.
Si strinse nei suoi abiti da notte, aveva deciso di concedersi quella giornata nelle sue stanze per pensare.
Jon le aveva rivelato la sua vera identità e questo poneva lui, poneva il Nord in una posizione ben differente. Jon, il legittimo erede al Trono di Spade, Trono che non agognava, ma che sembrava anzi disprezzare con ogni fibra del suo essere.
Sospirò pesantemente: Jon era un uomo leale, ligio al dovere, il figlio degli Stark che più somigliava al defunto Ned, un uomo che non aveva mai avuto sete di potere, ma con un profondo senso della giustizia e del rispetto al quale persino un Septo avrebbe potuto impallidire.
Un leggero bussare alla massiccia porta scura la interruppe dalla sua contemplazione.
- Avanti. - pronunciò Sansa, poggiando sulle sue gambe il mantello. Davanti a sé, una ragazzina dal viso pulito e candido come la neve la guardava quasi intimidita.
- Mia Signora... perdonami se ho disturbato il tuo riposo, ma... -
Sansa sorrise, leggera come una nuvola d'estate. - Non c'è niente di cui scusarsi. Dimmi. - fu accondiscendente, la sua voce suonava come un flauto.
La ragazzina si chinò goffamente verso di lei. - Lord Tyrion mi ha incaricata di domandarvi se voleste passeggiare nel Parco degli Dei con lui. -
Sansa strabuzzò gli occhi: Tyrion Lannister era conosciuto per agire sempre in prima persona, difficilmente si affidava a dei sottoposti, specie se le qualità che doveva sfoggiare erano quelle verbali.
Ciò che non sapeva è che, con la schiena poggiata al muro della parete, c'era proprio il più piccolo tra i Lannister, in silente attesa.
Sansa sbatté le palpebre velocemente più e più volte. - Puoi dire a Lord Tyrion che arriverò a momenti. Aveva per caso l'aria affranta o ha accennato al motivo della sua chiamata? -
Tyrion sorrise nella penombra, ma non disse niente. La serva lo guardò smarrita e lui le fece cenno di proseguire.
- No, mia signora. Mi ha solamente chiesto di riferirvi che porterà delle tartine al limone. -Note dell'autrice:
Eccomi! Scusate il ritardo, non mi sono dimenticata di aggiornare, semplicemente il mio cervellino non riusciva a concentrarsi. 🤦♀️
Lo so, lo so: non ho dato spazio a Brienne e Jaime, ma ho pensato che un confronto tra il nostro Lannister e la Regina dei Draghi sarebbe stato interessante da vedere, talmente tanto da scriverci su un paio di righe così, tanto per ricordarci che la sceneggiatura dell'ottava stagione poteva essere scritta un pochino meglio.
Detto questo, aspetto i vostri gentili riscontri e vi auguro di passare delle buone vacanze.
A presto. 😊
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M e r c y.
FanfictionDal testo: "Nelle ampie terrazze di Grande Inverno Brienne aveva trovato il suo posto nel mondo, ferma a riflettere e a calcolare il tempo che ancora le rimaneva. Brienne "della fottuta Tarth" come spesso amava apostrofarla il Mastino aveva deciso...