Capitolo Quarantottesimo

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Lupo la guardò incredulo e al contempo con la consapevolezza di non essere del tutto lucido: gli antidolorifici facevano il loro effetto, ma avevano i loro lati negativi. Probabilmente quello era solo un sogno, la sua fervida immaginazione che si prendeva gioco di lui e gli mostrava che cosa sarebbe successo se lei fosse stata lì davvero. Decise comunque di non dare tutto per scontato e si passò una mano sul braccio, avvertendo il lieve tocco. Poi vagò alla cieca sulle lenzuola, alla ricerca di quella di Margot, finché non la sfiorò. Era "vera" dunque? Cercò di parlare, ma il respiratore non glielo permetteva, dunque provò a toglierselo, ma le mani calde e vive della ragazza lo fermarono, allontanandogli le sue dal viso e stringendole in una presa disperata e allo stesso tempo pregna di un affetto mai manifestato.
- Non toglierti il respiratore, non ce n'è bisogno. Vorrei parlare io e, se hai pazienza, mi piacerebbe raccontarti una storia. - mormorò lei a quel punto, facendo in modo di catturare tutta l'attenzione del giovane. Lupo fece un lieve cenno affermativo col capo e attese che continuasse. - C'era una volta una bambina. Era una bambina vivace, una di quelle bambine che amano indossare i vestitini a pois e correre spensierate nei campi di granoturco, magari alla ricerca di qualche cavalletta o qualche altro insetto strano. A scuola veniva spesso chiamata "pel di carota", ma a lei non importava, anzi andava molto fiera del colore dei suoi capelli. Quella considerava la sua vita spensierata e quasi perfetta, quando un giorno, tornata a casa da scuola, trovò sua madre impiccata nel suo studio. Sua madre dipingeva ceramiche, soprattutto vasi, e molti di quelli erano sparpagliati per la stanza, la maggior parte in frantumi. Ciò che successe dopo fu veloce e confuso, lo scorrere dei giorni diventò un automatismo e la routine quotidiana insignificante e remota. E ben presto, quella bambina diventò una ragazza e iniziò a vivere la sua vita come una normale teenager. Alle volte si stupisce lei stessa di come sia riuscita a mantenere quel suo carattere mite e solare, nonostante il trauma subìto da piccola. Finché, durante una vacanza che suo padre aveva programmato da tempo, non incontrò una persona che, inconsciamente, le fece ricordare com'era la parte di se stessa che aveva nascosto per un sacco di tempo: lei era una ragazza anche malinconica e l'oscurità che la morte di sua madre le aveva fatto conoscere, si stava via via risvegliando. Così si mise alla ricerca di quella persona per scoprire di più di quella che era la vera se stessa, finché un giorno non capì che non era stata lei a imporselo, bensì il suo cuore a comandarla. - fece una pausa, stringendo la mano gelida di Lupo - Non sai per quanto ti ho cercato, Lupo, e quante volte sono ritornata nella piazza dove mi avevi accompagnata, nella speranza di vederti ricomparire con la tua macchina sgangherata e con tutti i tuoi problemi esistenziali che tanto mi avevano affascinata, che avevano sbloccato la parte di me che nascondevo a tutti, anche a me stessa. Mi devi perdonare perché, quando ho fatto ritorno in Francia, ho smesso di cercarti; però non ho mai smesso di sperare e ciò mi è stato di aiuto. Ti ho ritrovato ed è il più bel regalo che la vita mi potesse fare.
Il ragazzo chiuse gli occhi per una manciata di secondi, respirando a fondo, poi prese il blocco e il pennarello nero che il dottore gli aveva lasciato per riuscire a comunicare anche con il respiratore. Scrisse qualcosa, poi strappò il foglio, lo accartocciò e lo infilò nella tasca dei pantaloni di Margot, facendole segno di fare silenzio.

***

- Gli ho raccontato qualcosa che spero si ricorderà, ovunque vada.
- Sei stato il suo pensiero fisso per giorni, Margot, si ricorderà sicuramente di te, non temere. - provò a rassicurarla Enrico, che da tempo stringeva con forza un lembo della giacca, forse per impedirsi che il vortice di emozioni che provava si riversasse sugli altri.
Anche se, per quello che vedeva, ognuno dei ragazzi presenti era immerso in una battaglia più o meno violenta contro se stesso. Massimo era appoggiato alla sedia, le mani in grembo e la bocca serrata da ore ormai. Melissa si mordeva insistentemente il labbro inferiore, continuando a farlo sanguinare e a tamponare il sangue con un fazzoletto. Mattia controllava il cellulare, cercando in tutti modi di non pensare a quello che stava per accadere, mentre Sara era intenta a consolare Margot, a cui diventavano gli occhi lucidi sempre più spesso. Alla fine anche lei aveva perso Giorgia, quindi era forse la persona più indicata a starle vicino. L'unica che sembrava apparentemente tranquilla era Annah, incantata con lo sguardo sulla porta del reparto in cui era entrato suo padre circa una mezz'ora prima.
Finché proprio quella porta non si aprì e ne uscì la signora Versalli, provando a sorridere sui suoi tacchi rosso sgargiante, ma che in quel momento risultavano opachi e privi di significato. Si asciugò gli occhi con una mano e si avvicinò alla cerchia di ragazzi, appoggiando una mano sulla spalla di Enrico. Sospirò e in quel suo respiro si udirono i battiti accelerati del suo cuore; quello che stava per dire, forse, l'avevano già intuito tutti.
- Sta morendo, ragazzi. - pronunciò con voce tranquilla - Ma ha chiesto di vedervi, tutti, prima di andare. Vi vuole vicini mentre vi saluta, vuole dimostrarvi che vi vuole bene e che farete sempre parte di lui e di quello che è stato.
Enrico annuì a nome di tutti, ma nessuno si alzò. Così Annah gli prese una mano e lo tirò verso di sé, obbligandolo a mettersi in piedi. Il ragazzo guardò la signora Versalli e le fece segno di guidarli verso la stanza, che l'avrebbero seguita. E fu proprio in quel momento che l'ansia sopraggiunse su tutti gli animi di quei ragazzi, donando loro la consapevolezza di quello che stava davvero succedendo. Prima di poter fare qualsiasi altra cosa, affrettarono il passo, entrarono nella camera di ospedale e si disposero a semicerchio attorno al letto dove Lupo li ringraziò con un'occhiata per aver accettato forse uno dei compiti più ardui da compiere in una vita terrena: accompagnare un'anima in un altra realtà.

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