Capitolo Trentacinquesimo

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- Quando mi hai dato quel biglietto, subito dopo la tua prima crisi, quando ancora non riuscivi a respirare da solo... Ho chiesto a Enrico cosa volesse dire, chi fosse quella ragazza e mi ha promesso che mi avrebbe aiutata a cercarla. Tuttavia non ho ancora ricevuto alcuna notizia.
Lupo scosse il capo. - Ci siamo sentiti l'altro giorno e mi ha esplicitamente fatto capire che con Margot non vuole più avere nulla a che fare, che non ha tempo per aiutarmi anche con questa faccenda; deve badare a sé stesso, al rapporto con la sua ragazza e...
- Ma tu sei il suo migliore amico e sei...beh... - la donna vacillò.
- Sono malato? Sì, è vero, ma non sono ancora morto, mentre per sua sorella il momento è arrivato pochi giorni fa; è distrutto e sinceramente non lo lusingo. Penso che non saprei come reagire se fossi al suo posto.
Giorgia scosse la testa, indecisa se sbatterla un paio di volte contro la parete o fare la stessa cosa con quella del fratello. A suo parere Enrico esagerava, aveva visto con i suoi occhi che lei stava bene. Era cosciente di non comprendere il dolore del ragazzo fino in fondo, ma la madre di Lupo aveva ragione: Lupo era il suo migliore amico e se la cosa era reciproca, Enrico avrebbe dovuto comportarsi come tale. Perché lei sapeva...
Per quanto provasse a negare l'evidenza, vedeva Lupo spegnersi lentamente ogni giorno di più e, sebbene non avesse idea di quando sarebbe arrivato il momento, sapeva che il tempo sarebbe finito prima di ciò che tutti credevano.
- Appunto perché ha già vissuto la morte di sua sorella dovrebbe fare il possibile per starti vicino. - affermò la donna, visibilmente scossa.
- Probabilmente ha bisogno di stare da solo. Cosa ne sai tu, mamma, di cosa prova?
Per questo le era piaciuto Lupo fin dal primo incontro: era buono. Metteva sempre gli altri prima di sé, facendo in modo di mettersi nei loro panni e giustificarli di conseguenza. In questo caso suo fratello si sarebbe meritato due sberloni, altro che compassione...!
Vide la donna scrollare le spalle. - Vorrei soltanto il meglio per te, perché vedo cosa provi.
Il ragazzo sorrise amaramente e lasciò adagiare la schiena al cuscino, che si proruppe in una miriade di pieghe. - Forse non ha più senso continuare a cercare; alla fine ho visto Margot una sola volta nella mia vita e non sono neanche più certo che si ricordi di me.

***

Il campanello stridette, facendo rimbombare il suono nella stanza e sobbalzare Sara, che se ne stava con la schiena premuta contro la parete e lo sguardo basso.
Enrico sollevò il capo dalle mani e squadrò la porta con occhi arrossati. - Perché adesso... - commentò distrutto.
- Aspettavi qualcuno?
Scosse la testa. - Nessuno che mi avesse annunciato la sua visita. - appoggiò le mani sulle ginocchia facendo leva per alzarsi, ma Sara lo prese per le spalle, costringendolo a risedersi.
- Vado io. - decretò dirigendosi verso la porta.
Quando l'aprì, una ragazza dai lunghi capelli scuri se ne stava immobile davanti all'uscio, il cappuccio calato fin sopra gli occhi.
- Giorgia... - sussurrò Sara, impietrita.
- Mi dispiace molto per la tua perdita. - le rispose una voce grave che non sarebbe mai potuta appartenere alla sua ragazza. La sconosciuta si abbassò il cappuccio, rivelando due occhi chiari. - Mi chiamo Melissa, sono un'amica di Enrico.
Sara piegò le labbra forzando un sorriso. - Mi ricordo di te, ci hai accompagnati qui dall'ospedale. Comunque sia, non penso che Enrico voglia vedere qualcuno, ha bisogno di essere lasciato in pace.
Melissa trattenne il fiato per qualche secondo, il cuore che le batteva ansioso nel petto. Sarebbe davvero finita così? Si sfregò le mani congelate sui jeans e si maledisse per non aver portato i guanti.
-

C'eri anche tu quando abbiamo litigato, hai assistito a tutto. - provò a convincerla - Ho bisogno di parlargli di persona.
Ma Sara scosse la testa. - Ero già scesa dall'auto quando avete avuto il diverbio; non ne so nulla. L'unica cosa che posso dirti è che in questo momento lui non sta male per te, ha altro a cui pensare e vuole vivere il suo dolore da solo.
A quelle parole la ragazza sentì un vuoto nel petto e pensò che se il suo cuore avesse davvero potuto rompersi, avrebbe sentito un sonoro crack! risuonare dentro di lei, perdendosi nella voragine che le si stava aprendo dentro. Cercò di mantenere la calma, mentre un tremito incontrollato si impadroniva dei suoi arti e del suo respiro.
- Ti prego, Sara Lasciamelo vedere, ho bisogno di chiarire. Devo parlare con lui, sentire la sua voce.
- La sentirai quando starà meglio.
A quel punto il panico e la tristezza di Melissa si tramutarono in rabbia. Rabbia contro Sara, perché si immischiava in affari che non la riguardavano, rabbia contro l'assassino di Giorgia, perché aveva deciso di andarle contro proprio quel giorno, rabbia contro la malattia, perché stava uccidendo il suo migliore amico, rabbia contro sé stessa, perché era un'incapace, e rabbia contro la vita, perché sembrava che ogni cosa non potesse esistere senza le relative complicazioni.
- E nessuno ci pensa mai a come mi sento io?! - sbottò adirata, cogliendo l'altra di sorpresa. - Io darei la vita per le persone a cui voglio bene, anche se alle volte sono fredda e distaccata! Ma nessuno l'ha mai capito, nessuno mi ha mai capita!
Gli occhi le diventarono lucidi, ma gettò via le lacrime con fare indignato.
- Io ti ho sempre capita. Semplicemente non te l'ho mai detto. - la voce del ragazzo proruppe nella stanza.
- Enrico, ma tu hai bisogno di - balbettò Sara, impacciata.
- Hai ragione. - la interruppe prima che finisse di ribattere. - Ma lei è la mia ragazza.
A quel punto Sara si fece da parte rassegnata, mentre Melissa alzò finalmente lo sguardo e sorrise con gli occhi. Quando il ragazzo smise di incrociare le braccia al petto e le lasciò cadere lungo i fianchi, la giovane si mise a correre nella sua direzione e gli si gettò al collo, appoggiandogli la testa sulla spalla.

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