Capitolo Trentesimo

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Il cellulare squillò per l'ennesima volta e la bambina sospirò esasperata. - Dovresti rispondere, almeno vedere chi è.
- So bene chi è. - rispose Lupo. - Mia madre l'avrà incontrato.
- Tua madre è qui in ospedale, l'ho vista nello studio di mio padre. Se avesse voluto parlarti sarebbe venuta di persona.
Il telefono squillò di nuovo ed il ragazzo voltò lo sguardo, indeciso se allungare la mano o no. Quando fece per farlo, la piccola mano di Annah era già sull'apparecchio e ci mise un attimo a votarlo e a leggere cosa ci fosse scritto. Lupo sbuffò, ma non disse nulla.
- Chi è Massimo Arseni? - domandò con voce incerta.
Lupo si accigliò e si fece consegnare il cellulare. - Non mi aspettavo mi chiamasse...
- Rispondi, forza!
Il suo dito esitò sul pulsante per accettare la chiamata. - Non sono sicuro di volerlo sentire.
- Se ti ha chiamato è perché tiene a te. Non hai altro modo per...
- Ho capito. - il dito premette sullo schermo, interrompendo le chiacchiere di Annah.
- Lup! Finalmente hai risposto!
Il ragazzo strinse un labbro contro l'altro e ascoltò il silenzio dall'altra parte del telefono.
- Lup? - riprovò l'altro. - Tutto bene?
Lupo sollevò la testa e chiuse gli occhi. - Ciao Max.
L'amico tirò un sospiro di sollievo. - Sono contento di sentirti, anzi siamo contenti. - fece una pausa in attesa che Lupo dicesse qualcosa, ma non ricevette risposta, dunque proseguì. - C'è qui Mattia con me.
- Mi fa piacere sapervi insieme.
- Beh sì, con insieme non intendevo... - incrociò lo sguardo del mister ed arrossì. - ...insomma, non in quel modo. Sono successe un sacco di cose che ti racconterò non appena uscirai da quell'ospedale.
Lupo sorrise tristemente e ringraziò il fatto che Max non lo potesse vedere. - Come vanno le gare, capitano?
Max rise dall'altra parte. - Diciamo che vanno. Certo, non vanno come quando c'eri tu. - sospirò. - Eri una forza della natura, Lup...e ci manchi. A tutti.
Lupo sbatté le palpebre per impedire alle lacrime di affiorare e si sorprese che la sua voce fosse ferma quando parlò. - È bello sapere che mi ricordate così. Spero che Marco riconosca in te l'autorità sostitutiva alla mia.
Il silenzio calò tra i due e Max si morse il labbro. Guardò Mattia con disperazione e quella annuì.
- Nascondergli la verità non avrebbe senso, Max. - sussurrò.
Il giovane si schiarì la voce. - Avrei voluto darti questa notizia di persona, ma...
- Parla. Ti ascolto.
Max socchiuse gli occhi. - Marco ha lasciato la squadra. Era stremato e per lui gareggiare senza di te era troppo... - si interruppe e Lupo sperò non si stesse lambiccando il cervello per trovare le parole giuste evitando di ferirlo. Alla fine lui stava già piangendo. - Nessuna gara va come dovrebbe andare. Abbiamo bisogno di te, capitano.
Lupo allontanò il telefono dall'orecchio. Non riusciva più a parlare, qualcosa glielo impediva, esattamente come gli impediva di respirare bene.
- Annah. - mormorò. Lei si voltò, i grandi occhi azzurri spalancati nella sua direzione. - Penso sia meglio che tu vada a chiamare tuo padre...
La bambina annuì e corse fuori, mentre Lupo riavvicinava il telefono all'orecchio.
- Lup! Lupo! - la voce di Max risuonava forte e chiara nella cornetta, ma si percepiva la preoccupazione del ragazzo.
- Ritornerò Max. Te lo prometto. Ma non ti prometto che resterò.
Cominciò a tossire, il fiato mozzato e il petto che si abbassava velocemente.
- Lupo, come...?
- Perdonami. - riuscì a dire prima di interrompere la comunicazione.
Poi sentì i polmoni ripiegarsi su loro stessi, la gola bruciare, richiedere l'ossigeno che non aveva. Si portò la coperta alla bocca, continuando a tossire, e quando la tolse la trovò sporca di macchie di sangue. Sarebbe morto così, e più ci pensava più desiderava di essere già morto, di non poter provare assolutamente più niente. Si abbandonò sul materasso senza che i violenti colpi di tosse lo abbandonassero e aspettò che il suo cuore smettesse di battere ed i suoi polmoni di richiedere aria. Sentiva che il momento non era lontano e rimase immobile. Finché nella sala non vide una ragazza che gli correva in contro.
- Lupo!
Cercò di metterla a fuoco. Non poteva essere lei.
- Lupo, non puoi mollare adesso! Ascoltami, ti prego! - allungò una mano per prendere la sua e l'afferrò. Era gelida, ma riusciva a stringerla. - Ricordati di ciò che hai appena promesso a Max! Ricordati di me! Mi faresti un enorme torto smettendo di crederci adesso! - la vista gli si annebbiò e la testa gli cadde indietro. - Lupo! - urlò lei. - Devi trovare Margot! Non arrenderti ora...te ne prego.
Margot. Quel nome gli giunse alla mente come un fischio troppo acuto, i suoi polmoni ricevettero una boccata d'aria come se non fosse mai successo niente. E la ragazza cominciò a svanire e per quanto provasse a stringerla non riusciva più ad afferrarla.
- Giorgia, resta qui... - le disse, ma quella svanì nel nulla e gli occhi del ragazzo si chiusero.

***

Il vaso scagliato per terra con rabbia si ruppe in mille pezzi.
- Margot!
Quella lo ignorò e ne afferrò un altro. - Partiremo tra due giorni e non so come trovarlo! È tutta colpa mia!
Lacrime di rabbia le rigavano le guance e le gambe le tremavano.
- Margot, sono i vasi di tua madre!
La ragazza si fermò con il vaso a mezz'aria, fissandolo come se contenesse un peccato mortale. Poi crollò a terra, stringendolo tra le braccia e singhiozzando disperatamente. Il padre le si avvicinò e le si inginocchiò accanto.
- Che ti sta succedendo? Da quando siamo tornati qui ti comporti in modo così strano...
- Non ho nulla che non vada, papà! - gridò lei.
- Sono solo preoccupato per te. - le accarezzò la testa. - Poche volte ti ho vista stare così.
Margot allentò la presa al vaso, che rotolò sul pavimento fino ad incontrare un mobile.
- Sono così stupida...
- Non lo sei mai stata. - le sorrise appena. - Sei sempre stata forte, questi momenti di debolezza sono normali... Sei un essere umano.
- No! - urlò, asciugandosi le lacrime con la manica della maglia. - Perché ho perso l'unica occasione che avevo, me la sono fatta soffiare via come una foglia secca con un alito di vento.
- Cosa succede?
La ragazza inspirò, lasciando che le ciglia umide le solleticassero gli zigomi. - Succede che io lo amo, papà.

Voglio avere un SensoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora