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Cammino per i corridoi dell'ospedale, aggiustandomi il nuovo camice bianco messo ordinatamente nel mio armadietto da un'infermiera. Guardo l'orologio al mio polso; tra cinque minuti inizia il giro con gli specializzandi. Percorro il lungo corridoio, passando davanti la porta targata 212, è decido di entrarci.

Busso leggermente, per poi aprire la porta. Appena faccio capolino nella stanza, un grande sorriso si dipinge sul volto della adorabile signora Tousson. "Oh, dottoressa Murray! Buongiorno."

Ecco che il mio stomaco fa quella cosa, quella cosa che fa quando sento o vedo qualcosa che riporta la mia mente nel passato. Ovviamente, essendo una dottoressa, centinaia di persone al giorno mi chiamano in questo modo, ma ciò vuol dire imprimere nella mia mente il sorriso giocoso di Harry di quando si divertiva a prendermi in giro. E quando inizio a pensarlo, è la fine. Ci sono giorni in cui la nostalgia è particolarmente forte, magari per un paziente che ha riscontrato le sue stesse ferite -perché sì, le ricordo tutte perfettamente e ricordo ogni secondo di quell'operazione- che inizio a vederlo accanto a me in ogni cosa che faccio. Parlo con un paziente, e sento lui che commenta le orribili scarpe della moglie, oppure la brutta personalità del figlio.

Dovrei già essere uscita pazza, ma la verità è che, invece, mi sta bene. Anzi, probabilmente lo sono già. E' l'unica cosa che mi tiene a galla, che mi impedisce di affondare, di crollare. In qualche modo contorto lo sento ancora con me, e anche se è in questo modo, mi sta bene; tutto pur di poter rivedere più i suoi occhi, il suo sorriso, e sentire la sua voce.

Ho imparato a farci l'abitudine, a convivere con questa proiezione di lui.

Oggi però qualcosa è cambiato. Adesso, per quanto mi faccia male ammetterlo, non riesco più ad accettarlo. Non posso accettarlo. Adesso che ho scoperto che è vivo, non mi accontento più della sua proiezione di lato alla finestra, mentre fa un commento poco carino sull'odore in una stanza. Non mi accontento più perché lui è vivo, diamine, potrei averlo qua di persona a commentare ogni sciocchezza, e invece convivo con la mia immaginazione.

Ma la colpa è mia. Solo e soltanto mia. Avrei potuto persistere per cercarlo, ma mi sono lasciata scoraggiare da tutti gli altri che mi dicevano di mollare, che non c'era niente da fare. Non avrebbe dovuto passare l'inferno chissà dove, solo, a patire la fame e la sete. Sarei potuta essere con lui. Avrei potuto averlo qua con me, avrebbe potuto vedere dove sono arrivata lontano con la mia carriera; invece sono andata avanti per anni con una cazzo di visione, di proiezione, tutto frutto della mia pazzia. La verità è che non me ne faccio niente di tutta questa carriera prosperosa se non ho una persona con cui condividerla. Anzi, la persona con cui condividerla. Voglio Harry, l'ho sempre voluto accanto a me, ma mi sono arresa, mi sono lasciata convincere che non ci fosse niente da fare ed è per questo che ieri, dopo aver saputo la notizia, non mi sono imbarcata su un qualche aereo per andare a prenderlo. Perché sicuramente si sarà chiesto perché non sono andata a cercarlo, perché mi sono arresa. So che arriverà il momento in cui lui vorrà risposte, spiegazioni, ma il fatto è che io non ho le risposte. So che arriverà il momento in cui lui mi cercherà, e magari mi urlerà contro per averlo lasciato solo; e io non sono pronta. Non lo sono mai stata, nemmeno quando si trattava di lasciarlo andare. Per questo è nata l'allucinazione della sua persona, perché la verità è che ero ancora bloccata nella fase della negazione -e lo sono ancora. Tutte le persone normali solitamente vanno avanti, e io ero convinta di averlo fatto, ero convinta di stare bene, ma era solo un meccanismo di difesa. L'ho capito quando ieri sera, dopo aver sentito il notiziaio, ho iniziato a distruggere tutto quello che mi ritrovavo davanti. Sorridevo con tutti come se niente fosse ma solo io so che il motivo dei miei sorrisi era Harry dietro di loro che faceva smorfie buffe alle loro spalle.

Io ho sempre avuto bisogno di Harry per sorridere. Sia in guerra, sia quando abbiamo creduto che fosse morto, sia quando ho cercato di superarlo. Ho vissuto per anni con la proiezione della sua persona perché è anche la mia persona, e non sopportavo il fatto che non fosse accanto a me. Tante persone mi hanno etichettata come pazza, tanto che alla fine ho deciso di andare da uno psicologo, perché io non pensavo di avere nulla di male. E ho pensato di aver fatto progressi, perché non le ero saltata addosso come era successo a quel malcapitato anni prima, ma mi ero seduta ed ero stata in silenzio. E lei aspettava. Ha aspettato per cinque sedute, poi ho iniziato a parlare. Ricordo della mia prima frase detta a lei, "lui è la mia persona". Non le ho mai spiegato cosa significhi, cosa vuole dire per me. Forse perché non lo so nemmeno io, forse perché è una cosa troppo grande e immensa da spiegare. Ma si è rivelato utile, andare dalla signora Smith. Non mi etichettava come pazza, rimaneva seduta e mi ascoltava. È passato un bel po' dall'ultima volta che sono andata, forse sei mesi. Ma sento come se dovessi farci di nuovo un salto, dopo la notizia di ieri sera. Perché ho rimesso su la mia maschera tutta sorridente, ma ho un assoluto bisogno di esternare tutto, e non rompendo tutto ciò che c'è in casa mia.

The Soldier ↠ h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora