Parte seconda

770 43 47
                                    

Francesco ha le ginocchia nella polvere, una corda ruvida gli serra i polsi dietro la schiena e gli lacera la pelle: la guardia che l'ha stretta sembrava divertirsi.

L'acqua gli cola ancora addosso, disegna sul suo corpo scie di sangue e sporco e infetta le ferite aperte, ma almeno il freddo è sopportabile, nella stanza in cui l'hanno portato, perché le torce alle pareti riscaldano l'ambiente. La luce è troppo forte per occhi ormai abituati al buio, però Francesco ha paura a chiuderli del tutto e lacrima per il fastidio.

E poi aspetta, che è l'unica cosa che fa da settimane, perché Lorenzo gli dà le spalle da quando è entrato e rilegge le stesse carte da capo a fondo e di nuovo da capo, con lentezza logorante. Quando si volta, Francesco è sul punto di svenire, con le spalle piegate in avanti e la testa ciondolante.

«Sono i capi d'accusa che ti sono imputati» dice Lorenzo, appoggiando i fogli sull'unico tavolo che arreda la stanza: «La Repubblica non te ne perdonerà nessuno».

È abbronzato, nota Francesco, col vestito bianco da festa, che ha le maniche gonfie e i ricami dorati. Lo squarcio sul suo collo muta in cicatrice di giorno in giorno.

«Perché non mi metti subito a morte, allora?», suona come una sfida, ma non lo è. Francesco non prova più niente contro Lorenzo, gli ha tolto anche troppo, tutto, quando si è preso Giuliano. E se ora è disperato, e la sua disperazione si trasforma in odio, lui non lo biasima. Ma prega lo stesso di morire presto.

Lorenzo ignora la domanda, gli gira attorno: «Ti danno da mangiare?». Francesco esala un rantolo che dovrebbe essere un sorriso: «Ti preoccupi di quanto mangio?»

«Se ti avessi voluto morto ti avrei fatto impiccare».

Francesco prova a rispondere, ma un colpo di tosse lo fa piegare ulteriormente. Ha la polvere sulle labbra e in gola e gli sembra di affogare, un rivolo di saliva gli cola dal mento lungo il collo. Poi succede qualcosa che Francesco non si aspetta, perché Lorenzo si inginocchia davanti a lui, col mantello prezioso che si imbratta di terra, e gli solleva il viso per guardarlo, ma non è rude come la guardia della sua cella: «Mi vedi?» chiede, perché Francesco ha gli occhi gonfi e polverosi ridotti a fessure, le ciglia incollate tra loro: «Ti vedo», il suo petto è ancora ansante per il violento colpo di tosse che l'ha scosso.

Non solo lo vede, Francesco, ma si accorge a quella breve distanza che anche gli occhi di Lorenzo sono provati: rossi, segnati di lacrime, scuri e inquieti come mai li aveva visti.

«Piangi ancora tuo fratello?»

«Credi che smetterò mai di farlo?»

«Perché non mi uccidi, Medici?» insiste Francesco, non prova neanche a negare la sua angoscia «Quest'attesa, il silenzio, non li sopporto»

«E svegliarmi la mattina e sapere che Giuliano è morto, credi che io lo sopporti questo?». Lorenzo si allontana e nasconde il viso.

«Allora è una vendetta? Oppure una punizione? Mi tieni in vita per non darmi il sollievo della morte?», Francesco è stanco e non capisce e lo provoca per suscitargli una reazione, non per ferirlo davvero, solo perché la calma di Lorenzo è esasperante e non è semplice intuire che cosa nasconda: «Io quel sollievo a tuo fratello l'ho dato con piacere». Un secondo dopo Francesco è per terra con la bocca inondata di sangue.

Per quanto ne sa, il calcio che ha ricevuto potrebbe avergli sfondato la mascella, ma lo stordisce solo. Lorenzo lo sovrasta e lo solleva per le spalle, il vestito bianco si macchia di rosso. Ha lo sguardo furente, il viso acceso dalla rabbia: «Sto facendo ogni cosa in mio potere per tenerti in vita, Pazzi, non mettermi alla prova più del necessario». È un suono basso che esce tra i denti e sembra un ringhio.

Di doman non c'è certezza - Francesco PazziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora