3. Isabel

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Sono le due in punto, levo il grembiule e lo adagio ben piegato dentro l'armadietto, almeno in questo sono ordinata, penso ridendo.
Mi arriva un sms su whatsapp, è Andres.

"Ciao Birba, stasera serata libera, facciamo qualcosa?"

Sorrido, mi chiama così da sempre.
È il mio migliore amico, il solo che mi è stato accanto da quando Tom è morto e continua tuttora.
Suo padre da ragazzo partì da Porto Rico in cerca di fortuna in America e da semplice lavapiatti, oggi è proprietario del Cebo, uno dei ristoranti più importarti di Orange Country.

Andres non è voluto andare al college, ha sempre detto che il suo futuro è qui, perciò è rimasto a lavorare nella gestione dell'attività di famiglia.
In realtà ama da morire cucinare, è un fantastico cuoco, svariate volte ha preparato dei manicaretti per me e ogni volta vuole sempre la mia opinione, ci tiene.

I nostri genitori sono amici e io e Andres siamo cresciuti assieme.
Il padre di Andres mi aveva proposto di lavorare da lui quando ha saputo che non sarei andata al college ma io ho rifiutato anche se a malincuore.
È come un padre per me ma io volevo disperatamente allontanarmi da quella realtà sociale che ormai non sento più farne parte e il ristorante di Andres vanta la clientela più In della città.

Andres e io siamo sempre stati solo amici, solo una volta quando frequentavamo il liceo, al ritorno da una festa eravamo tutti e due un po' brilli ed è scattato un bacio.
È stato per entrambi così strano e surreale che ci siamo fatti una risata subito dopo e abbiamo archiviato il caso come una cazzata fatta da ubriachi.
Dopo quell'episodio non è cambiato nulla tra noi, Andres non gli ha mai dato peso come d'altronde nemmeno io.
Saluto Julian, salgo in auto e subito dopo rispondo.

"Ti va una serata a casa?"

Mi risponde quasi subito.

"Sei proprio diventata noiosa lo sai, passo da te più tardi."

Una faccina con il sorriso alla fine del messaggio, la stessa che usa sempre.
Sorrido perché è tipico di Andres lamentarsi sempre delle mie idee noiose ma poi seguirmi a ruota sempre e comunque.
Bene, stasera avrò un po' di compagnia, lui sa sempre come fare per tirarmi su il morale.

"Mamma."
La vedo seduta sulla sedia a dondolo, nel patio, lo sguardo trasparente, fisso su un qualcosa di indefinito, le mani in grembo, i capelli sciolti, ancora spettinati dal letto, in vestaglia.
Penso che sia lì da tutta la giornata. Non mi guarda, non mi risponde, semplicemente sta seduta lì.
I dottori parlano di post traumatico da stress e io penso che quel termine medico sia riduttivo.
È stato più che traumatico perdere Tom, perderlo così, all'improvviso, per colpa di un pazzo sulla strada mentre era in bicicletta.
Aveva solo undici anni.
Il pazzo si chiama Charles Button, è stato condannato e si trova in carcere a scontare la sua pena ma questo non è bastato per lenire la sofferenza.
Mia madre era distrutta e anche mio padre lo era.
Eravamo una famiglia normale, con una vita agiata direi, ma dopo l'incidente è cambiato tutto.
Mamma è caduta in un tunnel depressivo senza via d'uscita e papà non c'è l'ha fatta a sopportare il tutto, così dice lui.
Una mattina come tante l'ho visto prendere le valigie e andare via.
"Mi dispiace."
È riuscito a dirmi solo questo.
Non ho avuto nemmeno la forza di replicare.

So solo che sono passati più di due anni ormai, mio padre ci manda una cospicua somma di denaro ogni mese che io uso per la casa, per la salute di mamma e per vivere, ma ovviamente il nostro tenore di vita è calato, anche se grazie al Cielo riusciamo a vivere dignitosamente.
So che mio padre ha una nuova compagna, abita a Providence ora, non chiama quasi mai, credo sia troppo doloroso per lui, ma io dal canto mio continuo a pensare che sia stato un vigliacco.

Mi sono tirata su le maniche e ho continuato a lottare.
Ho finito la scuola, alla cerimonia dei diplomi non c'era nessuno con me, solo Andres.
Mamma era ricoverata per esaurimento nervoso e io quella mattina prima di andare mi sono guardata allo specchio e ho realizzato quanto mi sentissi sola.
Quel giorno sarebbe dovuto essere un giorno di festa e io ero sola.
Non c'era papà a scattarmi una fotografia all'ingresso vestita con la toga, non c'era mamma a sistemarmi il cappellino con il pendaglio con gli occhi lucidi di gioia e non c'era neppure Tom, allegro e spensierato, che saltellava felice come un grillo.
Ho pianto per un'ora come una bambina.
All'epoca avevo già ricevuto la risposta di ammissione al college, ma non potevo andare, non potevo abbandonarla, non come aveva fatto mio padre.
È sempre mia madre e Dio solo sa quanto era diversa prima di tutto ciò.


Il pomeriggio scorre lento e senza che me ne accorga è quasi sera.
Sfoglio svogliata una rivista davanti la tv, mi sono fatta una doccia e adesso sono in "tenuta casa", tuta grigia e sopra una canotta nera, i capelli legati in una coda morbida.
Fa già così caldo penso, mentre sfoglio distratta le pagine della rivista.

Tutto a un tratto sento suonare il campanello, sarà sicuramente Andres, mi alzo di scatto e corro subito alla porta.
Non appena apro me lo ritrovo davanti, lui e tutto il suo entusiasmo.

"Ehilà Birba, non mi inviti a entrare?" "Ma certo!" rispondo e chiudo la porta dietro di me.
"Buonasera signora Forbes, come va?" Mamma lo guarda e gli sorride in maniera affettuosa.
"Ciao Andres."
Lo dice piano, appena più forte di un sussurro.
"Bene", dico sospirando. "Hai già cenato? Posso ordinare qualcosa per te dal telefono."

"Ferma là", mi ordina lui.
"Tu adesso sali su, ti cambi e usciamo un po', hai bisogno di prendere aria e svagarti e poi oggi è la mia serata libera", dice con un sorriso.
"Ma non dovevamo restare a casa, dai Andres non cominciare..."

Non so perché, ma me lo sentivo che stasera non avrei passato una serata a casa.
Non che io e Andres siamo tipi da uscire ogni sera, ma è la sua serata libera, dovevo immaginarlo che non avrebbe mollato l'osso così facilmente.

"Tua madre starà bene Birba, sai che va a letto presto, aspettiamo che si corichi e andiamo. Sul serio hai bisogno di divertirti, sono un po' preoccupato per te, negli ultimi tempi hai fatto la vita di un'eremita, hai pur sempre vent'anni o l'hai scordato?"

No non l'ho scordato, è che a volte me ne sento cinquanta di anni, ma questo non glielo dico.
Dopotutto il mio migliore amico mi sta chiedendo solo di fare un giro per un paio di ore, cosa c'è di male?
E ha ragione, mamma va sempre a letto presto perché le medicine che prende le portano un gran sonno e non si sveglia mai durante la notte.

"Bene", dico sconfitta. "Ma fare l'alba è fuori questione, sai che domani lavoro."
"Okay, affare fatto."
Mi sorride e così dicendo si mette sul divano vicino a mamma a guardare uno stupido quiz.
Io salgo su a cambiarmi, lo sento gridare dal piano di sotto.
"Vestiti carina, si va a una festa!"
Alzo gli occhi al cielo.

Nocciola e Cioccolato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora