Capitolo II - Uno strano compleanno

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È strano come a volte il tempo appaia rallentare, proprio in quelle situazioni in cui tutto si svolge velocemente. Mentre cercavo di reagire all'assalto, portai le mani sulle spalle per cercare un appiglio, un modo per ferire il mio assalitore. Brandivo una penna recuperata al volo dalla borsa e contavo di piantargliela nel dorso della mano. Sulla mia spalla destra, però, al di là della forte pressione che avvertivo chiaramente, non c'era nulla, non toccavo nulla, così come non vedevo e non potevo toccare il braccio che in teoria mi stava circondando per bloccarmi. Non stavo sognando. Ero una ragazza con i piedi piantati per terra, non sapevo cosa volesse dire avere la testa per aria o sognare a occhi aperti. La concretezza del mondo intorno a me, per quanto stentassi a riconoscere quel mondo, era evidente e fuor di discussione.

Mi resi conto che si trattava di una situazione di stallo: il mio assalitore mi aveva forse sottovalutata e non riusciva ad atterrarmi o portarmi via. Io non avevo nessuna intenzione di arrendermi, ma mi riusciva davvero difficile pensare lucidamente. Se solo avessi partecipato al corso di autodifesa cui mi aveva iscritta la nonna anni prima.

Ora, che il tempo potesse dare l'impressione di trascorrere lentamente è accettabile, ma la mia lucidità, la quantità di ipotesi che stavo formulando da almeno tre o quattro minuti mi dicevano che forse il tempo stava davvero scorrendo lentamente. Come se fosse elastico e sottoposto a una improvvisa trazione, che mai lo avrebbe infranto. Cominciai a guardarmi intorno, nella speranza che qualcosa fosse cambiato, ma l'assenza umana era ancora lì. Mi ritrovai a considerare che ero in un quando e in un dove cui non appartenevo e in cui forse ero piombata per sbaglio. Una riflessione sorprendente, poco concreta, ma che sembrava essere l'unica plausibile.

Nonostante non avvertissi cedimenti nelle gambe, stanchezza nelle braccia o scoramento (sarebbe stato tutto più che legittimo), una certa noia mista a paura si stava impadronendo di me. Corpo in piena forma, spirito un po' fiaccato. Il sole stava tramontando, la luce diminuiva in fretta, non c'era illuminazione nelle case, i lampioni sembravano inutili e avrei scommesso che anche il mio smartphone era inutilizzabile. Con uno sforzo immane riuscii a scostare la mano che mi chiudeva la bocca.

«Insomma», protestai vivacemente, «vogliamo smetterla? Non fai prima a dirmi cosa vuoi da me? Potresti considerare la possibilità che non sono la persona che cerchi?»

«Gnfgh...» fu la risposta che ottenni.

«Bene, buon compleanno a me. Impigliata in una pessima sceneggiatura e senza indizi su come uscirne incolume. Se ti facessi un corso accelerato di lingua italiana? A come annoiata, B come bellinbusto, C come...»

Improvvisamente, l'aria dinanzi ai miei occhi subì una leggera modifica, come un'onda che increspa inaspettata la superficie piatta del mare. L'onda si fece sempre più definita, al punto che mi sembrò di intravedere un volto e probabilmente lo vide anche il mio assalitore, perché percepii che la pressione sulle mie spalle si era leggermente ridotta.

Ne approfittai per tentare uno strattone, che, sorprendentemente, funzionò.

«Gnfgh...» pronunciò ancora una volta la cosa, ma con disappunto e in quell'esatto momento la pressione sul mio corpo svanì del tutto, io fui libera, le persone tornarono nei giardini, i lampioni si accessero, le televisioni ripresero a lampeggiare e i profumi della cena ad aleggiare nell'aria fresca. Il telefono nella mia borsa squillò e il volto appena intravisto scomparve.

«Papà?»

«Tesoro, dove sei?»

«A un centinaio di metri da casa, perché?»

«Hai fatto così tardi e non rispondevi al telefono, ho cominciato a preoccuparmi...»

Il cielo era buio, di un blu notte che non avevo subito notato, presa dal sollievo per la ritrovata libertà.

Yara e MarcusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora