Capitolo IV - Le visioni di Ilda e le mie

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Andai a dormire tranquilla, senza riuscire a spiegare quella mia calma particolare. Mi sdraiai sul divano, che trovai particolarmente comodo, tirai su lenzuolo e copertina leggera e affondai piacevolmente la testa nel cuscino. Tra i tè e i caffè consumati in serata, avrei dovuto star lì a rigirarmi, ripensando al braccio che mi bloccava, al volto che sillabava. Invece niente. Le parole di mia nonna, il suo tono e il suo volto rassicuranti, avevano fatto centro. Le credevo. Credevo davvero che per qualche giorno sarei stata al sicuro e che lei sapesse il fatto suo. Il che era decisamente inquietante. Chiusi gli occhi e mi addormentai profondamente.

La sveglia mi spaventò: ero già in ritardo per il lavoro e avevo dormito sì e no quattro ore. Come avrei tirato avanti per il resto della giornata? Mia nonna e mio padre dormivano beatamente così mi lavai e vestii il più velocemente possibile, ingollai una colazione composta da una fetta di torta e del caffè avanzato e corsi verso la stazione, sperando di prendere la piccola navetta che faceva il giro del paese.

La giornata procedette tranquilla e il lavoro in negozio mi tenne talmente occupata, che raramente ebbi modo di ripensare alla sera precedente. Tuttavia, provavo un vago timore intermittente, che veniva arginato, a ogni assalto, dalle parole confortanti della nonna. Era come un moto ondoso, che scorreva nelle profondità della mia anima, indipendente dalla mia volontà e dai miei pensieri. Poiché accoglievo ogni cliente, ogni telefonata o corriere con gratitudine, per la distrazione offerta, a un certo punto mi ritrovai sommersa di cose da fare e mi sentii dire Va bene a Enrico senza minimamente sapere di cosa stesse cianciando. Solo quando mi appioppò con poca cortesia un cartone pieno di abiti per cani, compresi che mi ero offerta di inventariare e sistemare gli articoli per il nuovo reparto. Manifestai il mio disappunto trascinando vistosamente i piedi fino alla porta, poi uscii sul marciapiede per rientrare nel nuovo locale dedicato ad apprensivi e folli padroni di animali domestici. Man mano che appendevo gli abiti sulle mini stampelle, mi scattavo una foto. Circondata da impermeabili, cappotti, persino un tutù e delle scarpine finemente ricamate, inondai di selfie Lisa e la nonna, arricchendo ogni scatto con buffe emoticon e smorfie. Durante la pausa pranzo, che mi avrebbe costretta a incontrare le mie preoccupazioni, decisi di non fermarmi nel solito bar, ma di fare una passeggiata nelle viuzze del centro storico. Il cielo era terso, l'aria fresca, gli ultimi turisti giravano col naso all'insù osservando la cattedrale e il museo civico. Lo scorrere dell'acqua delle fontanelle che punteggiavano il quartiere (una volta unica fonte di approvvigionamento), il suono dato dalla poca portata del getto e dal suo infrangersi contro la pietra, era ipnotico, come le rassicurazioni della mia nonnina e mi sentii di nuovo invasa dalla tranquillità. Mi fermai di fronte alla fontanella più grande, che riversava acqua nella vasca in pietra usata secoli prima come lavatoio. Il vento increspava appena la superficie dell'acqua, sporcata da qualche foglia e da qualche rametto.

Lo squillo del telefono mi spaventò. Era Enrico: «Dove sei finita? Ho qui una comitiva di turisti, sai che non spiccico una parola di inglese. Corri!»

Ero in pausa da più di un'ora e mezza e non me ne ero accorta. Mi sentii subito in colpa. Enrico non era tipo da contare i minuti, ma non mi ero mai assentata più del previsto senza avvisarlo e odiavo che dovesse chiedermi esplicitamente di tornare. Non se lo meritava, considerando che, miracolo in terra, mi aveva assunta con un vero contratto e che si era sempre comportato più che correttamente con la sottoscritta. Avevo sin troppe esperienze di datori di lavoro scorretti, maneschi e pronti a ritardare all'infinito un misero stipendio.

In negozio il delirio durò per un'ora circa. Enrico era stato talmente furbo da creare una sezione di abiti Italian Style, che, notai sorpresa, andavano a ruba. C'era un cappotto per carlini con la stampa di un piatto di spaghetti con le polpette che mandava le signore in visibilio. Il fiero proprietario di un pastore tedesco acquistò invece una coperta in cui il suo beniamino appariva bardato come un legionario romano. Inutile ribadire che spaghetti e polpette non sono un piatto nazionale, lui lo aveva compreso anni prima, meglio far rendere il folklore e le leggende legate allo stivale. Riconobbi e ammirai il suo fiuto per gli affari. Il negozio non era ancora ufficialmente aperto e registrava già buoni incassi. Nei biglietti da visita, che distribuiva generosamente, campeggiava l'indirizzo dello shop online. A fine giornata, Enrico non mi rimproverò per il ritardo, ma si prese la sua piccola meritata vittoria: il mio snobismo era a zero e la sua lungimiranza, stando agli incassi, a cento.

Yara e MarcusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora