Yara e Marcus

Marcus

Cos'è un corpo? Un peso cui ci avvinghiamo per non svanire troppo in fretta da questa nostra terra? La nostra sola identità. No, questo no, ora so che non apparteniamo soltanto alla natura, agli atomi che ci compongono, alle cellule che svaniscono e nascono costantemente per mantenerci in vita. So di non essere stato solo il mio corpo, ma sfugge la percezione di una mia completa identità.

Ricordo vagamente le mie mani, curate, non troppo lunghe e i miei occhi scuri. Il resto sembra svanire come in uno specchio antico, macchiato, consumato, eroso o distorcersi costantemente, come se non fosse una realtà oggettiva ma solo un insieme di percezioni.

Ricordo, più che altro, il mio corpo nelle conversazioni altrui, nei loro commenti: troppo magro, troppo giovane, molto scuro, diverso (da mio mio padre, credo, che mi appare in lontananza come un uomo alto e forte). Ricordo i sarti, impegnati a tagliare, cucire, inventare la forma che non avevo e che avrei dovuto mostrare al mondo.

Non posso fare a meno di chiedermi se più che conoscere noi stessi conosciamo in realtà lo sguardo degli altri su di noi. Che sia malevolo, ironico, affettuoso, velato di buone intenzioni, è pur sempre sguardo altrui, punto di vista, una lente deformante che adatta il nostro essere alle necessità emotive dell'osservatore: belli o brutti purché egli possa dirsi felice di se stesso o consolarsi in un 'mal comune mezzo gaudio'.

Il tempo, la mancanza di tempo, la mancanza di misura, mi rendono forse cinico. In realtà non comprendo bene neanche i miei sentimenti, che si muovono slegati dal loro bersaglio. Puoi odiare, amare, contestare un'umanità che non conosci più e a cui non appartieni? Puoi avvicinarti alla verità delle tue stesse opinioni se non vivi più nel mondo delle percezioni da cui esse dipendono? Se non tocco, non guardo, non percepisco odore o suono, se il cuore non duole e lo stomaco non si contrae al mio incontro o mancato incontro con un mio simile, quelli che provo sono davvero sentimenti?