Gwenny cosa!?

173 16 0
                                    

Kevin Lockwood era esattamente come lo ricordavo: uno schianto.
Vederlo di nuovo mi riportò alla mia cotta di qualche anno prima della quale non ne avevo parlato neanche ad Eloise. Ma come darmi torto? In quanto a bellezza la sorellina minore aveva preso tutto da lui, a partire dalle mosse ciocche dorate e arrivando agli enormi occhi azzurri, sempre vivaci ed incredibilmente magnetici. Lo riconobbi ancor prima di entrare nella sala del trono, quando per l'immenso corridoio in ghiaccio nero riecheggiava la sua roca risata contagiosa. A scuola, durante la pausa pranzo, lo si sentiva ovunque , nel senso che anche se non c'era tutti ne parlavano: il bellissimo, un po' misterioso e temerario Kevin Lockwood. Aveva sempre avuto ottimi voti in qualsiasi materia, ma ogni volta che salivo nel bagno dell'ultimo piano per stare da sola ce lo ritrovavo ad ascoltare metal a tutto volume con una sigaretta fra le labbra e circondato da fumo. Certo non capivo che tossiva perché non sapeva fumare, ma ai miei occhi appariva come un adulto tremendamente maturo. Spesso, all'insaputa di tutti, mi invita a partecipare a quei party privati, o quando pioveva mi faceva spazio sotto l'ombrello e mi riaccompagnava all'Istituto. Per quanto ne poteva sapere Eloise o chiunque altro io e lui non ci eravamo mai rivolti parola, ma in realtà eravamo parecchio in confidenza, più di quanto mi sarei mai aspetta. Mi aveva sempre affascinata questa sua doppia vita: davanti agli amici un bravo ragazzo ligio al dovere, ma una volta svoltato l'angolo diventava uno dei più sfasciati di Lockwood, sempre pronto ad imbrattare muri o appiccare incendi. In poche parole? Era un pazzo bipolare. Anni dopo non era affatto cambiato: seduto scompostamente sopra al trono, delle sottili lamine di ghiaccio nere incastrate fra loro che riflettevano a malapena la luce, teneva la schiena contro un bracciolo e le gambe distese usando l'altro come appoggio. In una mano stringeva una canna che, visto l'odore, doveva essere ottima, nell'altra invece un bicchiere pieno di vino. Rideva come se avesse appena ascoltato una delle barzellette più divertenti nel mondo, ma la verità era che in quella sala, prima che entrassimo noi, non c'era nessun altro oltre lui. Rideva solo. Sam mi aveva raccomandato di far finta di non conoscerlo e di non dire mai il mio nome, ma di trattarlo come se quella fosse la prima volta che lo vedevo e, soprattutto, con rispetto.
-E' questo che comporta sposare una donna che non si ama?- chiese Sam ad alta voce, camminando verso di lui. Kevin sollevò la testa di scatto e, guardandolo, iniziò a sventolare in aria sia il bicchiere che la canna.
-No, è questo che comporta sposare una donna che non si ama!- rise ancora più forte, sfoggiando al massimo della loro bellezza le sue due fossette. Si alzò sbandando, poi si diede un goffo slancio in avanti e iniziò a scendere i gradini del trono molto, molto lentamente. –Il mio piccolo e fedele Combattente Reale, da quant'era che non ti facevi vivo?-
-Piccolo?- rise Sam –Sono più alto di voi, Maestà!-
I loro occhi restarono fermi l'uno in quelli dell'altro, senza esprimere neanche un accenno di divertimento. Per un attimo pensai fossero pronti ad azzannarsi, quando ad un tratto entrambi iniziarono a ridere e si corsero incontro, per poi stringersi in un lungo e forte abbraccio.
-Sammy, era così noioso fumarle senza di te!- singhiozzò falsamente il re, che sembrava più adatto al ruolo di uno spacciatore; Sam aveva dimenticato il malumore che l'aveva accompagnato per tutto il viaggio, giusto per sottolineare quanto avesse apprezzato la mia compagnia. Mentre quei due si facevano le fusa iniziai a guardarmi intorno a braccia incrociate; la Sala del Trono era immensa quanto vuota e fredda: ogni cosa era in ghiaccio nero intagliato perfettamente, ma nonostante ciò all'interno del castello non c'era neanche il minimo accenno di freddo. Ci trovavamo ad Ailémak, (che al contrario era Kamélia, cioè Camelia, il fiore dei morti.) meglio conosciuta come Il Cimitero, la grande capitale dei vampiri. Quando Sam mi aveva svelato il significato del nome e come la chiamavano ero scoppiata a ridere, accusando lui e i suoi simili di essere esattamente lo stereotipo del vampiro tormentato, ma non appena arrivati capii perché gli avessero affibbiato quel soprannome: oltre a trovarsi estremamente a nord del Pentagono (formato dalle cinque Città Capitali: Ailémak dei vampiri, Seriv Bridge dei licantropi, Enmi dei Demoni, Caelum degli angeli, An Chéad degli Elfi) aveva alle spalle un lungo e altissimo ghiacciaio nero, con uno stretto spacco al centro che creava una strada naturale e dal quale proveniva un fortissimo vento gelido. In cielo l'aurora ballava rendendo ancora più surreale quel luogo: i suoi colori passavano dal verde, al viola e all'azzurro, e creava un suono simile a quello che avevo sentito quando, a lezione di musica, avevo soffiato dentro i fori del flauto dolce del mio compagno (Con questo non vi sto invitando a fare la stessa cosa). Ogni cosa, persino le case in pietra, era ricoperta da una patina di ghiaccio e, nonostante le strade fossero piene di persone, sembrava che queste non producessero alcun rumore. L'avevo già notato con il mio antipatico compagno di viaggio: quando camminava sembrava non appoggiasse realmente il piede per terra, mi aveva spiegato che era una particolarità dei vampiri; controllavano talmente bene il proprio corpo e i propri poteri che riuscivano perfettamente a nascondersi o a non attirare l'attenzione. L'illuminazione era lasciata in gran parte all'aurora e alla luna, ma di tanto in tanto ci si imbatteva in piccoli fuocherelli azzurri che si libravano in aria; più di una volta ero stata tentata di passarci un dito sopra, ma l'idea che Sam potesse prendermi in giro mi riportava con i piedi per terra. Il castello sembrava esser stato intagliato in una protuberanza del ghiacciaio, un po' come quando Voldemort tirava per separarsi dalla testa del Professor Quirrel. Scusate il pessimo paragone, ma quella scena era stata il mio trauma infantile e quel castello me la ricordava tantissimo. Aveva tantissime torri simili a candele sciolte, accatastate le une sulle altre senza alcuna logica e tutte tremendamente alte, tanto che di alcune ero riuscita a malapena a vederne la fine.
-E quella?- Kevin puntò la sua attenzione su di me e mi venne la pelle d'oca. Mi venne davanti in un secondo e poggiò entrambe le mani sulle mie guance così da tenermi il viso sollevato. –Da quando la piccola Lockwood è castana?-
-Giù le mani!- Magicamente Sam apparve accanto a lui (Amavano così tanto usare i loro poteri?!), gli prese le mani e le allontanò dalla mia faccia –Non è la tua cara sorellina.-
-Per fortuna...- mi lasciai sfuggire sottovoce.
-Beh, immagino non sia neanche lui...- sospirò il biondino tristemente, guardando il ragazzo accanto a me.
Anch'io mi voltai verso Amon Thar, il mio nuovo coach-traditore. Aveva dei banalissimi capelli lisci castano chiaro, con un banalissimo taglio corto che gli copriva gli occhi, occhi di un banalissimo verde qualcosa su una pelle banalmente ambrata; era poco più alto di me e, diversamente dal suo predecessore, parlava davvero poco. In sostanza era caruccio, ma l'avevo guardato con sospetto fin dal primo secondo in cui mi si era parato davanti. Avrei voluto vedere voi al posto mio!
Accanto a Sam e Kevin, che erano l'esempio di come la natura desse a chi troppo e a chi niente, un ragazzo semplice come lui scompariva, eppure apprezzavo più una bellezza poco appariscente come la sua: non sarebbe mai stato arrogante e, soprattutto, non avrebbe mai sfruttato il suo aspetto fisico per manipolare qualcuno... o almeno speravo. Entrambi facemmo un breve inchino, proprio come ci aveva suggerito Sam; qualcosa che mostrasse rispetto, ma nulla di eccessivo come se fossimo realmente nel medioevo. Il re restava pur sempre un ventunenne e certe formalità probabilmente lo mettevano a disagio.
-Loro sono Rebecca Fanning ed Amon Thar.- Guardai Sam sospettosa: mi aveva avvertita che avrebbe mentito sul mio nome, ma come mai aveva detto quello di Amon?
-Amici?-
-No, scorte. Ho fatto una visitina all'Ambasciatore, ma credo ce l'abbia con me.-
-Ah, Carlos Saratov?- Si informò Kevin.
-Si chiama Julius, possibile tu non conosca i nomi dei tuoi sudditi?- Lo accusò Sam.
-In realtà è Marcus Saratov.- Li correggemmo io ed Amon, chiedendoci se ciò non ci sarebbe costato la testa. I due annuirono in religioso silenzio, mentre noi li guardavamo con un sorrisetto forzato; era incredibile: non importava se umani o vampiri, le persone al potere dovevano essere sempre degli stron-
-Dov'è mia sorella?- Kevin tirò la testa all'indietro e, sorridendo, aggiunse –Non volevi incontrarla, tesoro?-
Mi accorsi della presenza della regina soltanto in quel momento e, istintivamente, arretrai d'un passo. Da quanto tempo era in piedi accanto al trono? Da come sbarrò, capii che anche Sam non l'aveva notata e che Kevin l'aveva interpellata con quella strana domanda solo per avvertirci della sua presenza.
-Dove l'abbiamo lasciata... a Lockwood..- Sam mentì perfettamente, poi fece un inchino alla regina seguito da me ed Amon.
-Abbiamo sentito dire che gironzola da queste parti.-
La regina scese di due gradini, entrando finalmente nella conversazione. Charlotte Santa Monica aveva lunghi capelli neri legati in una stretta treccia che le ricadeva su una spalla, le labbra ricoperte da un forte rossetto fucsia e gli occhi di un viola decisamente non umano. Solo in quel momento mi resi conto di come moglie e marito non indossassero affatto dei vestiti da re e regina: lui portava una camicia bianca spiegazzata e completamente aperta, jeans larghi e strappati che mostravano l'elastico di un paio di boxer grigi, i piedi lasciati completamente scalzi, come se fosse un ragazzino che oziava sul divano di casa sua. Lei, invece, stringeva le braccia secche attorno ad un maglioncino dello stesso colore del rossetto, le gambe fasciate da jeans superaderenti che sparivano sotto un paio di stivali neri alti fino al ginocchio. Gli atteggiamenti erano tutt'altra storia, teneva la schiena dritta, gambe unite e mento sollevato, dando la perfetta idea di una sovrana davvero pericolosa.
-Balle, mi sono informato: Eloise Lockwood non ha mai messo piede in territorio magico, se non Disneyland.- Da quando Samuel sono-un-serio-figo Von Klein era così sarcastico? Persino il paragone con le galline non era stato da lui. –Come stai, Charlotte?-
Kevin, ancora sotto effetto della canna, ridacchiò alla battuta.
-Bene, grazie.- Poi si rivolse al marito –Che peccato, ero davvero curiosa di vederla.-
-Eh già.- Annuì questo, ma dall'aria pesante che era calata nella sala capii che quei due dovevano avere parecchi problemi di coppia.

The Lockwood Age - Come nasce una reginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora