<<Stefania! Oi Stefania!>>
La voce di Mario mi sveglia di colpo. Mi guardo intorno, nessuna piattaforma di metallo, niente aghi, solo le panche, le pareti in metallo e i finestrini del vecchio tram che va alle miniere.
<<Siamo quasi arrivati. Hai passato la notte in bianco?>>
Devo aver dormito per tutto il viaggio con la testa appoggiata sulla sua spalla, mi fa male il collo e a malapena ricordo quando sono salita su questo tram.
<<Si, avevo troppo caldo e non sono riuscita a chiudere occhio...>>
Dico guardando fuori, Mario mi conosce benissimo quindi spero di saper mentire altrettanto bene. Siamo vicini alla fermata, la salita è abbastanza ripida e il tram non va oltre ad un certo punto, mio padre mi ha sempre detto delle continue lamentele degli operai che ogni volta, soprattutto dopo il lavoro, quando la fatica si fa insostenibile e si ha solo voglia di rilassarsi magari facendosi un bel bagno caldo, sono costretti ad affrontare questi sentieri scoscesi. Ma presumo che il denaro che serviva per completare la costruzione di un'infrastruttura funzionale fosse incluso nel fondo cittadino ormai vuoto. Adesso che devo affrontare questa salita con questo sonno allucinante che mi ritrovo posso capire cosa deve affrontare mio padre ogni giorno anche se non so fino a che punto ne valga veramente la pena...
Scendiamo dal tram, la fermata è come una piccola stazione ferroviaria, con un piano in pietra perfettamente livellato, una panchina e un lampione che il responsabile delle miniere viene ad accendere al tramonto, in modo che gli operai non debbano temere eccessivamente gli assassini.
<<Ma non hai paura sapendo che tuo padre lavora qui?>>
Mi chiede Mario mentre il tram riparte
<<Perché?>>
<<Perché siamo quassù, lontano dalla città e la sera penso che non ci sia molta luce. Non è proprio un posto rassicurante...>>
<<Ah si, all'inizio avevamo paura e abbiamo anche cercato di convincerlo a cambiare lavoro ma lui non ha voluto sentire ragioni, diceva che ha sempre fatto questo e non avrebbe saputo cos'altro fare per vivere. Ma poi con il tempo...io ho imparato a convivere con il pensiero e mia madre ha dato la vecchia casa del nonno a mio padre, è qui vicino, quindi lui può tornare prima in un luogo sicuro.>>
In realtà non ho mai imparato a convivere con un bel niente, sono sempre stata in costante ansia, finendo più volte dalla psicologa oltre alla già costante seduta settimanale. Anche sapendolo in casa in tempo per il coprifuoco l'ansia mi divorava i pensieri, la notte era illuminata soltanto da incubi sulla sua morte e ogni sua lettera era solo una flebile speranza che andava via via sfumando nel tempo che intercorreva tra una missiva e l'altra. Ma adesso grazie a Wotton non devo più preoccuparmi e se ci ripenso mi viene da urlare e saltare di gioia nonostante la stanchezza.
Prendiamo a salire appoggiandoci alle grandi pietre sulla destra del percorso, è davvero faticoso e ora che ci penso...
<<Grazie Mario!>>
<<Per che cosa?>>
Mi chiede con un leggero affanno nella voce
<<Perché stai facendo tutta questa fatica solo per accompagnarmi.>>
<<Ma no, sai che non è niente.>>
Mi dice con la sua solita voce neutrale. È per questo che gli sono così legata, è il mio migliore amico e la persona la cui compagnia non mi potrebbe mai stancare proprio perché è la sola persona che non mi fa avvertire niente fuorché le mie sole emozioni. Quando sto con le persone io sono costantemente presa così tanto dai loro stati d'animo e dalle loro emozioni che mi dimentico completamente dei miei, come se io non ne avessi, riesco a condividere i loro ma non riesco a mantenere il mio.
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Abate del terrore
HorrorUn assassino che non lascia tracce, una setta di folli che lo emulano e lo venerano, un territorio piombato nel caos e pochi che ormai provano ad opporsi. Il sole sta calando all'orizzonte, la gente si barrica nelle proprie abitazioni, la notte del...