I. Hold on

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"Every breath you take. Every move you make.
Every bond you break. Every step you take.
I'll be watching you."


È una bella giornata tutto sommato. Certo, nonostante sia solo metà aprile la temperatura è di almeno un paio di gradi sopra la media stagionale, ma almeno oggi non c'è quel sole dai raggi impietosi a riscaldare l'aria in maggior misura. Anzi, a ben vedere, si stanno addensando delle nubi basse nel cielo.

Un merlo sfreccia avanti la finestra semischiusa dietro la quale è appostato Sherlock. Compie un'ampia parabola, ed emette un fischio, tipico del canto di quell'uccello. Volteggia rapido e si allontana in direzione di Regent's Park, probabilmente è lì che ha nidificato.

Il suono di un clacson fa spostare l'attenzione del consulente investigativo sulla strada. Un bambino piange. L'auto che aveva evidentemente emesso quell'allarme è ferma all'incirca all'altezza dell'ingresso di casa, il conducente ha suonato trovandosi quasi a impattare contro un ciclista avventato, il quale ora ha ripreso tranquillamente a pedalare.

La macchina ferma subito prima di quest'ultima, ha un cerchione mancante sul lato del passeggero, lo si può vedere dal riflesso nella vetrina del negozio di fronte. Proprio da lì, due finestre sopra, proveniva il vagito che si sentiva fino a qualche istante fa, seppure ovattato data la distanza. Deve essere qualcuno trasferitosi lì da poco, non si era mai avvertito prima nessun rumore molesto tipico dei bambini piccoli.

Sherlock scorge una donna seduta alla bow window, ha in braccio una creaturina. Femmina dato il banale body rosa a pois gialli. Quella che è sicuramente la madre si gira ancora di più verso il vetro mettendosi probabilmente in una posizione comoda. Comincia ad allattare la neonata. Dalla lunghezza della coscia paffuta e il diametro del cranio si potrebbe dedurre che la piccola non ha più di un mese. Ma l'uomo non ne è troppo sicuro, non sa se può basarsi su un unico caso studio. D'altronde, se ci si riflette, Rosie si porta più piccola rispetto ai bambini che frequentano la sua stessa classe a scuola.

Il pensiero di Rosie ha l'effetto di ridestarlo. Agita leggermente le dita all'altezza della propria tempia, come a voler scacciare via tutte quelle informazioni inutili che gli stanno affollando il cervello. Si volta in direzione della cucina, sul tavolo ancora il barattolo della marmellata di more aperto, e la buccia verde di una mela a spirale mezza penzoloni furi bordo.

Quella mattina si era occupato lui di preparare la merenda alla piccola Watson. Era salito al piano di sopra cercando di non far rumore, e una volta entrato in camera aveva dovuto attendere un paio di minuti prima che gli occhi si abituassero completamente al buio dell'ambiente. Non poteva ancora vederla, ma nel silenzio, la sentiva respirare con un ritmo lento e cadenzato.

Si era avvicinato con cautela al lettino della bambina, accovacciandosi per portarsi all'altezza giusta. Nonostante avesse ancora qualche rimostranza riguardo al fatto che dormisse tutta sola quando John era a lavoro per il turno di notte, era stato costretto ad accettare la cosa. Le aveva scostato con un tocco leggero delle lunghe ciocche dalla fronte, passando poi ad accarezzarle la spalla che sporgeva da sotto al lenzuolo. «Principessa è ora di svegliarsi» le aveva sussurrato dolcemente.

Quando finalmente era riuscito a convincere l'insubordinata a tirarsi fuori dalle coperte, a fare colazione, lavare il viso e i dentini, indossare in maniera rapida la divisa scolastica, era già assai in ritardo. Aveva preparato lo spuntino in tutta fretta e l'aveva riposto nella cartella proprio quando John era rientrato.

«Buongiorno.» Un ampio sbadiglio aveva accompagnato il saluto dell'uomo, fermo vicino lo stipite della cucina.

«Papi!» Sherlock aveva visto la piccola correre ad abbracciare il padre, saltellando, con ancora i lacci sciolti delle scarpe.

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