"You just want attention, you don't want my heart.
Maybe you just hate the thought of me with someone new."
È normale che il mondo di un padre ruoti attorno alla propria figlia. Questa per lo meno è l'opinione di John Watson.
I ricordi e mezzi sogni si susseguono dietro le palpebre chiuse del dottore che cerca di riposare. Ripensa alla domenica del trentun marzo. Rivede sé stesso accompagnare Rosie a casa di Tommy per giocare un po'. Camminavano dandosi la mano per Crawford Street, fino ad arrivare avanti ad un negozio di fiori.
«Guarda papi: c'è una farfalla!» gli indicava la piccola col dito puntato verso l'alto.
«Dove, non la vedo?» alla ricerca con lo sguardo nella direzione di quel braccio teso.
«Lì su. Sulla scritta» rispondeva la bimba provando a leggere «Ti... a... Titanias G‒arden.»
Era vero, ci faceva caso, sulla "n" di "Garden" era disegnata una bella farfalla bianca.
«Sai cosa facciamo ora Rosie?» chiedeva sorridendole. Aveva aspettato che lei gli facesse segno di no con la testa per proseguire: «Compriamo in questo bel negozio di fiori una rosa per Beth. Cosa ne pensi?»
«Perché vuoi comprare dei fiori alla mamma di Tommy?» domandava la bimba allargando ancora di più quegli occhioni acquamarina.
«Oggi è la Festa della Mamma, sicuramente Beth sarà contenta di ricevere un pensiero da parte nostra» la esortava il padre.
«Ma Elizabeth non è la mia mamma» concludeva l'altra dubbiosa.
L'espressione di tristezza che era montata sul viso della piccola stringeva il cuore di John. Avrebbe voluto spiegarle che la sua affermazione era corretta, ma che gli auguri si possono fare anche alle mamme degli altri bambini. Sapeva però che sarebbe stato un discorso che forse non avrebbe capito, e probabilmente non stava neppure del tutto in piedi. Avrebbe finito col rattristarla solo maggiormente. Quindi aveva scelto di dirle semplicemente che aveva ragione. Ora dovevano solo attraversare la strada e sarebbero arrivati.
Prima che John potesse mettere un solo piede sull'asfalto era stato tirato dalla mano della figlia che lo aveva costretto a girarsi.
«Perché non regaliamo dei fiori a Sherlock?» chiedeva con un sorriso innocente a diciannove denti.
Sherlock. John era tornato e l'aveva trovato seduto a terra. Aveva il violino in grembo che continuava a suonare in un modo poco armonico, quasi stesse tenendo una viola. Ma non utilizzava l'archetto, quello era anch'esso sul pavimento, poco più lontano, pizzicava le corde con le dita nemmeno suonasse un liuto. I capelli arruffati, gli occhi cerchiati che fissavano il vuoto della parete di fronte, come se si fosse fatto.
Allarmato John si era voltato a cercare la figlia. Individuato il porta enfant gli era corso in contro.
«Sta bene John» aveva sussurrato con un filo di voce quello accasciato in terra per rassicurarlo. «Solo, se smetto di suonare lei inizia a piangere.»
Rosie aveva già le lacrime agli occhi, ma John non si era lasciato intenerire «Rosamund Mary Watson, cosa avevamo detto riguardo al disegnare sulle pareti di casa?»
«Che non si fa» aveva risposto la bimba fissando il pastello a cera verde che aveva ancora tra le mani.
«Oh suvvia John, stava solo esprimendo la sua creatività» si era intromesso Sherlock. «Glieli ho comprati io quei colori, sgriderai anche me? Sono colpevole quanto lei.»
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Ohana
FanfictionSono trascorsi poco più di sei anni dalla morte della moglie di John Watson. Il dottore cerca a modo suo di andare avanti, soprattutto per il bene della figlia. Holmes, molto affezionato alla piccola Rosie e a John, fatica a immaginarsi senza di lor...