PROLOGO I - IL RITUALE

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«Principe, cosa siamo venuti a fare qui?» Chiese Alba, stringendosi nella mantella viola, istoriata  di arabeschi dorati

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«Principe, cosa siamo venuti a fare qui?»
Chiese Alba, stringendosi nella mantella viola, istoriata di arabeschi dorati. Ma Samael non la degnò di risposta, avanzando a passo deciso lungo il ventre panciuto della collina, i riccioli neri mossi dalla brezza. Egli ispirava dal naso aquilino, voltandosi placidamente in ogni direzione, quasi fosse alla ricerca d'una qualche scia odorosa. Alba riconobbe quel luogo: le stele di roccia infisse nel terreno e i cumuli di brecciato non lasciavano dubbi. Era il luogo designato dagli umani per far riposare i loro caduti, a seguito della battaglia di Elea. Alba aveva assistito alla funzione: tetra e grossolana, le parole dell'Alto Vicario s'erano distinte appena fra i pianti, e molte fra quelle tombe non avevano neppure un nome a ricordare il loro defunto. Del resto di gran parte dei morti era rimasto soltanto un mucchio di cenere spazzato dal vento. Gli umani avevano pagato a caro prezzo la loro vittoria... e pensare che la guerra era soltanto ai suoi inizi...
Samael a un tratto si arrestò, puntando il suo sguardo su un anonimo tumulo. «È questo.» sussurrò, più a stesso che ad Alba. La ragazza si pose al suo fianco, mentre le idee cominciavano a riordinarsi nella sua testa, conducendola all'unica risposta sensata per la sua domanda.
«Aspetta, non vorrai-»
Il Principe la guardò fisso negli occhi, chinando il capo in un gesto d'assenso.
«Io credevo che avreste scelto l'altro.»
«Era quella l'idea.» ammise Samael. «Ma gli eventi si sono evoluti in modo inaspettato. Abbiamo sottovalutato il drago e la forza degli uomini.»
"O magari era tutto nei progetti della principessa, era questa l'unica via possibile?" si chiese Alba. Non poteva saperlo, le ombre di ciò che sarebbe stato si disvelavano unicamente alla sua creatrice.
Samael si snudò il polso, rivelandone la carne livida. La strigoi portò la mano al suo pugnale, ma prima che potesse offrirlo al Principe, vide il suo indice sinistro affusolarsi in un artiglio. Lasciò la presa sull'ergonomica elsa rivestita in cuoio, incrociando le braccia dinanzi al petto.

Samael non adoperava armi, se non in condizioni di assoluta necessità. Soleva dire, quando si prendeva il disturbo di spiegarsi, che queste fossero inutili per uno strigoi. Ma Alba conosceva le reali motivazioni dietro quel codice e fu grata che il Principe non avesse notato il suo gesto.

L'artiglio lacerò la carne del polso, aprendo un varco da cui fuoriuscì un viscoso liquame nero, ben più denso del sangue. Attraverso i lembi squarciati fece capolino una testa minuscola priva di occhi e bocca, invero rassomigliava a una grassa sanguisuga viscida. L'essere sgusciò fuori dal suo antro, come una larva di mosca dalla carogna di un animale, riversandosi al suolo con un tonfo. La osservò strisciare nell'erba, fra il disgusto e lo stupore. Mentre il polso di Samael si rimarginava, la larva si contorse, strisciando lentamente sul suo stesso corpo fra le brecce del tumulo, per poi scavarsi la via in uno spazio aperto fra due rocce.
«Funzionerà?» domandò Alba, accovacciandosi al suolo, giocherellando con uno stelo d'erba macchiatosi di sangue nero.
«Se la mia condizione di Triarca vale qualcosa, credo di sì.» La ragazza alzò lo sguardo, incrinando le labbra in una smorfia. Il viso di Samael era una maschera inespressiva, immobile come il volto di una scultura intagliata nel marmo. Eppure dentro di sé avvertiva una curiosa percezione di tensione, come se la sua mente fosse entrata in risonanza con quella di Samael. La principessa non si era mai spesa molto nello spiegare il funzionamento del Rituale, ma aveva chiarito quanto fosse un momento solenne per qualsiasi strigoi: dall'ultimo degli scarti, fino al più potente dei Triarchi. Quella consapevolezza la portò a sorridere, in modo genuino.
«Io vi ringrazio, Principe. Mi avete reso un grande onore, consentendomi di assistere.»
«Non essere così formale, Alba.» replicò lui, mentre la tensione sembrava abbandonargli le spalle. «Non adesso...»
Non l'aveva guardata negli occhi mentre lo diceva, ma la ragazza riusciva a percepire la sua gratitudine, chissà come sarebbe stato averlo come creatore.

Ma quel pensiero non ebbe tempo di approfondirsi, poiché allontanato da un rumore ruvido, proveniente dal fondo della terra. Un sassolino scivolò dal tumulo andando ad impattarsi debolmente contro il ginocchio di Alba, che subito si rimise in piedi. Samael serrò le labbra mentre le rocce accatastate sprofondavano e la lapide ricadeva all'indietro con un tonfo sordo. Fra il terriccio sconquassato sbucò una mano dalle unghie diafane che a tentoni cercava un qualche appiglio intorno a sé: la carne che la componeva era grigia, corrosa dai vermi lì dove i lembi di pelle esponevano i muscoli rattrappiti e le ossa giallastre.
Le dita affondate nell'erba e nel suolo fecero forza, tirando fuori il resto del corpo, avvolto in un corsaletto di cuoio che aveva visto giorni migliori. I capelli scuri, insozzati di polvere e terriccio, lasciavano aperto lo spiraglio su di un'iride grigia, infissa in una sclera scarlatta di capillari spezzati. Il fetore che accompagnò la fuoriuscita di quella creatura disgraziata avrebbe rivoltato le viscere di un essere umano, spremendo fuori dallo stomaco qualsiasi cosa vi fosse all'interno. Era l'odore acre della decomposizione, in un'infelice unione con la puzza di piscio rappreso e merda secca. Una vera fortuna che gli strigoi non conoscessero simili reazioni fisiologiche.

La creatura arrancò nella loro direzione, colando dalle labbra rivoli scuri, mentre al respiro stentato si alternavano gemiti e grugniti. L'essere tentò di allungare una mano, per poi stramazzare sul terreno. Nell'aria prese a risuonare lo schiocco di ossa che flettevano e scricchiolavano. L'essere sollevò lentamente il viso, accigliandosi mentre la pupilla si riduceva ad una punta di spillo. Dalle labbra un suono flebile..
Una nome: «S-Samael.»
C'era un ringhio sommesso in quella parola, il verso di una belva impossibilitata ad attaccare e uccidere. Ma il Principe non vi diede peso, si chinò sulla sua creatura, giungendo i palmi sulle guance, aderenti agli zigomi. La guardò con un sorriso serafico scavato nel volto.
«Bentornata Vanni, piccola mia.»

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