Corsi in bagno, la tensione era troppa, mia madre non faceva altro che imprecare ma non la biasimavo, mia sorella tornava a casa troppo spesso ubriaca, già ho una sorella gemella, un'alcolista del cazzo che si fa sbattere in discoteca dalla mattina alla sera; poi c'è mia "madre" se così posso definirla, ci ha lasciate per i nostri primi dieci anni di vita con un padre che alzava le mani e lei non aveva mai fatto nulla, è stata mia sorella a chiamare la polizia così quello stronzo è stato messo dentro, ormai sono sei anni che non abbiamo più notizie di lui ma non ci importa.
Impugnai quel piccolo oggetto di ferro, la mia salvezza, era sempre con me per farmi sfogare, sempre.
Incisi sulla mia pelle tre semplici parole: "aspetto la fine".
Perché è così, è sempre stato così, mi sveglio per aspettare la fine del giorno e sono nata per aspettare la fine della vita, la morte.
Finito il mio lavoro sciacquai i residui di sangue dalla lametta e dal lavandino, aspettai qualche minuto che si formasse la crosta per poi abbassarmi la manica ed uscire dal bagno sperando che avessero finito di discutere.
Mi adagiai sul letto con i polsi doloranti ma non mi importava, era quello l'intento, misi due cuffiette nelle orecchie e mi lasciai trasportare dalla musica per poi addormentarmi tra le note della canzone.
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Erano le 6:25 del mattino quando suonó la sveglia facendomi letteralmente cadere dal letto date le cuffiette ancora nelle orecchie, mi stiracchiai, aprii le tende cercando di pensare ad un lato positivo della mia vita per darmi la forza ad affrontare un'altra giornata, cosa che risultó completamente inutile dato che l'unica cosa che riuscivo a pensare era che anche oggi sarebbe stata una completa merda.Andai verso l'armadio e lo aprii estraendo una felpa gigante viola che avevo "preso in prestito" dal mio migliore amico, quello che era il mio migliore amico.
Guardai il mio riflesso nello specchio, attaccato all'anta, con disgusto al ricordo del proprietario della felpa ma decisi di non cambiarla dato che copriva alla perfezione i miei "sfoghi", infilai un paio di jeans neri attillati con strappi evidenti sulle ginocchia che lasciavano intravedere qualche piccola cicatrice che fortunatamente si notava a malapena, entrai nelle mie Vans anch'esse nere, con la borsa in spalla mi avviai verso la porta dato che la doccia la avevo fatta il pomeriggio precedente.
Mia madre mi aspettava in macchina con mia sorella, mi misi nel posto davanti dato Melanie me lo aveva lasciato libero, Melanie è il nome della mia gemella.
La macchina si fermó di colpo facendomi quasi saltare fuori dal vetro, il viaggio era stato silenzioso, come sempre, "Portate il vostro culo fuori di qui" ci ordinó nostra madre.
Mi alzai senza pensare troppo a come ci aveva trattate, ci ero abituata, lei diceva che era colpa nostra se suo marito la odiava e cose varie ma a me non poteva fregare un cazzo, si meritavano entrambi tutta la merda del mondo.
Attraversai il più velocemente possibile il cortile della scuola cercando di non dare nell'occhio, non volevo parlare con nessuno come sempre, a differenza di mia sorella che correva subito nei bagni della scuola con qualche morto di figa sperando di affogare i problemi con il piacere come io lo facevo con il dolore, non potevo biasimarla.
Varcata la porta dell'edificio scolastico percorsi i corridoi più tranquillamente sapendo che dato il mio anticipo non avrei avuto incontri spiacevoli, almeno questo era ciò che speravo.
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Help -Niall Horan-
Kinh dịA lui non bastava vedere le persone soffrire, lui le voleva uccidere, Niall amava togliere le vite alle persone, si sentiva forte, sicuro, potente. Amber amava il dolore, quello fisico che si procurava ogni giorno con quella lametta, ma se fosse sta...