Capitolo 2

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Emma fissava il desktop del pc. Ancora due righe e avrebbe terminato il compito di scrittura che le era stato assegnato.

–Non so come completare questo racconto – ammise ed ebbe l'impulso di alzarsi dalla sedia e di prendere un po' di respiro, invece incrociò le mani dietro la tesa e si dondolò leggermente sulla sedia.

Ripensò alla lezione di una settimana prima. Durante la lezione A. A. aveva spiegato la tecnica del punto di vista che un narratore dovrebbe padroneggiare a sufficienza prima di mettersi a scrivere. E per spiegarlo, dopo aver illustrato alcune teorie, aveva mandato in onda, sullo schermo gigante della lavagna elettronica, il video musicale di una canzone di Bruce Springsteen, Brilliant disguise.

Tra i banchi di quella università medievale, e in quella grande aula, la musica danzava nelle orecchie di Emma.

I hold you in my arms
As the band plays
What are those words whispered baby
Just as you turn away
I saw you last night
Out on the edge of town
I wanna read your mind
To know just what I've got in
This new thing I've found
So tell me what I see

When I look in your eyes
Is that you baby
Or just a brilliant disguise

Quelle parole le diedero la sensazione di un caldo abbraccio.

Il professore aveva scelto quel video, spiegò alla fine, perché la telecamera si avvicinava lenta al viso del cantante, soffermandosi verso un particolare sempre più piccolo. Quale miglior esempio per esprimere il punto di vista! Emma questo lo comprese subito.

La canzone continuava e lei, incantata, distolse gli occhi verso il finestrone della sala, in cerca di uno squarcio di cielo all'imbrunire. Incontrò per caso gli occhi di A.A.

Lui sorrise e lei ricambiò con un lieve gesto della testa. Quel sorriso accennato le fece comparire un lieve rossore sulle guance. Poi la canzone finì.

Dimmi cosa vedo

Quando ti guardo negli occhi

Sei tu piccola?

O solo un brillante travestimento

– È stata una lezione memorabile – commentò Emma, risvegliatasi dai ricordi.

– Lui non finisce di stupirmi con la sua arte oratoria – concluse sospirando e si alzò dalla sedia. Poggiò le mani sullo schienale e fissò il monitor.

Le righe che le rimanevano da scrivere erano le ultime e le più astiose. Un'inquietudine l'assalì.

–La consegna era entro oggi – rifletté sconsolata. Si stiracchiò le braccia, ruotò la testa e le apparve di nuovo quel sorriso. Attento anche se innocente. Perché A.A. l'aveva guardata e poi aveva accennato un sorriso? Proprio a lei? A.A. era giovane e di successo, sembrava così pieno di sé, invece era interessato agli altri!

Nei giorni successivi la canzone di Bruce Springsteen le era rimasta in testa ed era diventata la sua colonna sonora. Aveva trasformato il ritmo di quel componimento in parole per quel testo che ora non riusciva a terminare, nonostante dovesse esprimere il suo punto di vista.

I suoi pensieri fluttuavano la frase finale ad effetto, senza coglierla del tutto, o una blanda conclusione, che le risolvesse il problema. Poi la sveglia la riportò alla realtà.

–Ommioddio...sono le 15e30! Devo andare a prendere i bambini. Non ho ancora finito di scrivere il racconto e.... – non finì la frase che squillò anche il telefono.

–Pronto Emma, vuoi che vada io a prendere i bambini?

–Ciao Mamma! Ti ringrazio, ma oggi vado io.

–Come vuoi tu...ti saluto allora.

Emma chiuse il cellulare con un ciao frettoloso per poi pentirsi di questo atto di indipendenza che aveva avuto nei confronti di sua madre.

Negli ultimi mesi lei l'aveva aiutata moltissimo, ma non voleva abusare della disponibilità della sua genitrice, per non permetterle di sentirsi padrona, ancora un volta, della sua vita. Fin da bambina lei aveva occupato tutti gli spazi ed Emma non aveva imparato ad essere indipendente. Neanche il matrimonio l'avevano resa totalmente autonoma visti gli agi che le aveva offerto la vita con Fulvio.

Da un certo punto di vista era rimasta una bambina che non sapeva cavarsela in nessuna situazione e siccome la morte del marito l'aveva messa a dura prova, ora doveva assolutamente camminare con le sue gambe.

Si alzò, andò in bagno, si lavò le mani. Erano

madide di sudore, scrivere al pc le aveva messo una certa ansia. Anche sentire la canzone dentro la sua casa vuota più e più volte durante quella giornata le aveva reso umide le mani.

Si infilò il giubbotto e canticchiò

Now look at me baby

Struggling to do everything right

And then it all falls apart...

Il cellulare squillò di nuovo.

–Antonella? Come mai mi chiama adesso– disse tra sé Emma.

–Antonella ciao, sto per...– e venne interrotta da una piena di parole.

–Tu non sai! Tu non sai, Emma, chi ho incontrato oggi! – disse la ragazza dall'altra parte della cornetta.

–Veramente io, Antonella, sto per...

–Non sai che emozione. Sono uscita dalla metro e indovina con chi vado a scontrarmi? Proprio con lui...che figuraccia! –Emma dall'altra parte della cornetta fece un sospiro profondo.

–Ma di chi stai parlando, Antonella? – chiese Emma con poca attenzione e un po' di fastidio.

–Ma come di chi? Ma proprio di lui, di A.A. – disse Antonella per telefono, alzando il tono della voce.

–Ahhh, adesso ho capito...e cosa...– Emma sentì le mani sudare.

–E lui, sai che mi ha riconosciuta? –Antonella riprese a raccontare con foga. – È stato gentile come al solito, mi ha salutato e mi ha detto che aspetta di leggere la mia storia.

–Ho capito– disse Emma mentre cercava le chiavi di casa, chiudeva la porta, prendeva l'ascensore. Si diresse verso la macchina. Antonella era inarrestabile.

Ormai anche per Emma era impossibile chiudere la conversazione e poi voleva sapere tutti i dettagli dell'incontro quasi miracoloso.

–E io sono rimasta come un ebete, capisci? –incalzava l'amica. Gli ho solo sorriso e ho detto che certo l'avrei scritta come meglio potevo. E basta, non ho potuto dirgli niente altro! Poi le porte della metro si sono chiuse e capisci? Capisci? Che nervi!

–Emma, ma mi stai ascoltando? Tu cosa ne pensi?

–Scusa, Antonella, mi sto dirigendo a prendere i bambini a scuola e sono anche in ritardo. Ti dispiace se ti chiamo più tardi e mi racconti meglio?

–Certo – rispose Antonella quasi stizzita – se non puoi fare altro, va bene. Ti saluto.

Emma posò il cellulare sul sedile con poca gentilezza e appoggiò il piede sull'acceleratore per non trovarsi davanti al semaforo rosso alla fine della via. Cercò di non pensare che A.A. si era dichiarato attento ai racconti della sua nuova amica. 

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