Capitolo 5

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Quando quella sera Emma tornò a casa, aveva la testa tra le nuvole. Da un lato non riusciva a trattenere l'emozione per l'apprezzamento finale che A.A. aveva dimostrato con quelle parole: "Attente a voi! Vi osservo". Dall'altro invece era lievemente infastidita dalle occhiate indiscrete del suo mentore. Eh sì, ormai doveva accettarlo che A.A. era il suo mentore e se voleva avere una minima chance nel campo della scrittura, avrebbe dovuto seguire tutti i consigli e le indicazioni che avrebbe dato a lei e alla classe. Doveva abituarsi, certo, alle occhiate che AA le regalava. Con questi e altri pensieri entrò in casa. C'erano buio e silenzio, i bambini dormivano, vide sua madre distesa e addormentata sul divano. Emma urtò per caso una sedia della sala lasciata fuori posto e la madre, sopita, si destò.

– Emma sei tu?

– Sì, mamma! – rispose sottovoce Emma.

La donna si mise a sedere sul divano. Si tirò su lo scialle che portava sempre sulle spalle quando riposava. Non amava farsi vedere in disordine. Fece uno sforzo, si stropicciò gli occhi e si alzò.

– Sei arrivata in ritardo, questa sera o almeno mi sembra così – affermò con tono irritato.

Emma riconobbe il risentimento tipico di sua madre, come chi ti fa un favore, ma poi si pente. Rimase in silenzio. Non voleva accettare la sua provocazione.

– Mamma, preferirei che stasera ti fermassi qui a dormire – replicò Emma con calma.

– Io dormirò in sala e tu nella mia camera –continuò.

– No, non ti preoccupare, Emma. Se oggi hai fatto più tardi del dovuto, sono sicura che la prossima volta non lo farai. Sai che tua madre ti aspetta qui, che pensa ai tuoi bambini, li lava, li fa mangiare, li mette a dormire. Sei consapevole che faccio questo sforzo per te, quindi ti comporterai come sempre, evitando di fermarti a chiacchierare con le tue nuove amiche. Visto che ti aspetto qui da sola, questo è il minimo che puoi fare per me!

Emma sentì le viscere avvolgersi e chiudersi in una morsa. Quelle parole cancellarono le occhiate indagatrici di A.A., l'emozione contagiosa di Antonella, il senso di compiacimento parlando di scrittura e di letteratura che aveva nello stare in classe.

– Mamma! – urlò Emma – se pensi che oggi sia in ritardo, sappi che non è così, ma non voglio assolutamente farti cambiare idea. Voglio solo ospitarti una notte, se desideri restare qui mi fa piacere, così non dovrai sballottarti a destra e a manca.

– Certo, figlia mia, calmati, lo dicevo perché so quanto tu sia coscienziosa e lo so... lo so che la prossima volta non ti attarderai.

Emma era diventata ancora più furiosa, sua madre proprio non voleva capire.

– Non ti preoccupare, per questa sera torno a casa mia, magari la prossima volta dormirò da te. Ci organizzeremo con largo anticipo. Anzi dimmi quando sarà il giorno della prossima settimana in cui dovrai andare a lezione di questo..ehm, come si chiama? Corso di scrittura creativa?

– Sì, è un corso di scrittura creativa e la prossima lezione sarà lunedì – concluse Emma già esausta dal pontificare di sua madre.

– Adesso vado, mi ospiterai la prossima volta – la donna strinse lo scialle tra le spalle, lievemente infreddolita e si alzò.

Emma pensò che sua madre avrebbe voluto restare, ma che il suo orgoglio le impediva di fermarsi a casa della figlia per un minuto di più visto che la serata non era stata programmata per tempo. Proferì solo un tiepido - sì va bene, mamma - per non creare ulteriori discussioni.

La aiutò a mettersi la giacca e la donna uscì di casa.

- Ah, dimenticavo, disse la madre di Emma sulla soglia della porta – ha chiamato il proprietario dell' ex studio di tuo marito, quello che vi affittava il locale, insomma. Ha urgenza di parlarti dice. Chiamalo domani mattina. Ho lasciato il suo numero scritto su un bigliettino proprio lì sulla scrivania dell'ingresso –.

– Va bene, mamma, grazie – rispose Emma e sospirò per essersi scrollata di dosso un peso, anche se le rimase quel senso di colpa che la madre le aveva instillato al suo arrivo con quelle parole arcigne. Si diresse a guardare i bambini che dormivano e si sentì rasserenata. Decise di cenare con una piadina e di leggere il resto del romanzo che era rimasto in sospeso da qualche giorno Il commesso di Bernard Malamud. Si sentiva anche lei come Morris Bober, umile che combatteva contro qualcosa più grande di lei. Non riuscì a prendere piede nella lettura perché le tornavano in testa le parole di A.A. dette a loro due sulla porta. Poi le braccia si fecero molli, sbadigliò e con quel mantra si addormentò sul divano.

All' alba Emma si svegliò di soprassalto con il tonfo del libro sul pavimento. Si stropicciò gli occhi, le luci le davano da sempre fastidio, prese il libro da terra, lo sfogliò leggendo alcune parole di sfuggita e sbadigliò. Si alzò e preparò il caffè, l'aroma si diffuse subito in cucina. Emma sbadigliò una seconda volta. Decise di accendere il pc e mettersi a lavorare al nucleo principale della storia che doveva presentare in classe. I bambini dormivano e lei avrebbe lavorato in pace. Lavorò dieci minuti in pace, mentre sorseggiava il caffè. Si ricordò di quel numero a cui doveva richiamare in giornata, prese il biglietto dal mobile. E lesse:

"Giovanni Corona, 339896xxxx "

– Chissà cosa avrà da dirmi - rifletté Emma – ho già saldato l'affitto dei locali un mese dopo la morte di mio marito cos'altro vorrà? Lo chiamerò più tardi.

– Mamma! Mamma! – gridò il bimbo piangendo dalla cameretta. Emma si alzò per andare da lui e lo abbracciò.

– Buongiorno amore di mamma, hai fatto un brutto sogno? Adesso la mamma ti prepara la colazione e vedrai che passa tutto –. Gli diede un bacio e lo prese in braccio. Andarono in cucina e mise il latte sul fuoco.

– Mamma, quando si sveglia la mia sorellina?

– Non lo so, tesoro, adesso mangia il latte con i biscotti e poi si vedrà.

La giornata continuò con la routine di sempre, accompagnò i bambini a scuola, sistemò casa. Questa pratica le richiedeva una certa fatica. Non era abituata a pulire, sistemare, ramazzare, stirare. Per molti anni una colf di origine filippina era diventata la sua più grande aiutante in casa sin dal primo anno di matrimonio e lei aveva potuto vivere serenamente la sua vita domestica. Talvolta aveva anche l'aiuto di una babysitter per crescere i figli. Ora, anche se la pensione del marito non le faceva mancare nulla, doveva pur stare attenta a non sforare con le spese e quindi ormai a casa, pensava lei a tutto.

Si rilassava solo quando scriveva. Le braccia potevano essere stanche dei lavori manuali, ma scrivere la rilassava.

Nel primo pomeriggio, subito dopopranzo, Emma chiamò al telefono il signor Corona, pronta a scacciare con velocità le incombenze in arrivo.

- Sarà una stupidaggine, una bazzecola che possono sbrigarmi in quattro e quattro otto – pensò.

– Buongiorno signora Scurati, l'ho cercata...l'ho cercata al telefono – la voce tentennava a pronunciare le parole - per dirle che rifacendo il conteggio delle quote relativo all'anno precedente, non risultano pagate quelle dei mesi di novembre, dicembre e gennaio e...

– Come può essere successo? – interruppe Emma stupita. Deglutì con fatica, la testa iniziò a ronzare e...

– Signora, le garantisco che tali quote non sono mai state pagate. Feci un sollecito a suo marito, che Dio l'abbia in gloria, ma rimandava il pagamento da mesi e non si faceva trovare al telefono.

– Mio marito si negava? E perché mai? – rispose Emma, adesso anche il cuore palpitava all'impazzata.

– Si negava, sì, esattamente, signora Scurati – Il signor Corona rinforzò il tiro – Non so dirle perché...come potrei darle una risposta? Dopo la mia ultima telefonata, è successo il fattaccio ecco e io, come si ricorda, ho aspettato alcuni mesi prima di affittare i locali ad un altro dentista.

Emma non rispondeva più, piangeva in silenzio. Dall'altra parte del telefono l'uomo cominciò a balbettare parole, scuse e informazioni in modo confuso. Poi tacque qualche secondo che ad Emma parvero ore.

– Va bene, signora Scurati, ci sentiremo nei prossimi giorni per provvedere al pagamento delle ultime tre rate. Ci metteremo d'accordo in qualche modo, non si preoccupi. Adesso la devo salutare. Arrivederci – e riagganciò.

Alle parole "ci metteremo d'accordo in qualche modo", Emma scoppiò in pianto. Si lasciò scivolare fino al pavimento, abbracciò strette le ginocchia e singhiozzò come una bambina. 

Ti amo, mio mentore!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora