¥Capitolo 2¥

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**Jain**

Alcune frasi, segnano per sempre il tuo percorso.
Non esiste un modo per dirlo.
Anzi, esiste.
Anche se la voce è gentile e tattile, o magari brutale e diretta, il contenuto che contiene, non varia.
Invariabile all'esterno, variabile all'interno, di noi.

«Lei è la signorina, Jain Cooper?» Una voce profonda e densa, risveglia il mio stato di trance, dove sollevo appena la testa da prima china a fissare il buco nel jeans sul ginocchio.

«Sono, io.» Le perle sotto la mia rima cigliare, danzano e vibrano ad ogni battito di ciglia.
Sono stanca. Stanca di questa vita arrangiata.
Stanca di un miracolo che non arriva.
Afflitta e infreddolita su questa sedia di plastica bianca nella sala d'attesa, come le pareti, e la puzza di medicinali che mi contamina l'olfatto.

Osservo il portfolio che tiene sotto il braccio e il camice anch'esso bianco e immacolato.
Le lunghe falangi delle mani, si incontrano e incrociano in una sorta di preghiera, e la testa riversa verso il basso.
Questa è la parte che preferisco.
Quella che leggo o vedo nelle serie tv sul lettino singolo della mia cameretta rosa.
Quella in cui si dispiacciono, ma devono farlo.

«Abbiamo diagnosticato...Sua madre ha un cancro al seno, signorina Cooper.» Incisivo e senza troppi fronzoli, mi inferte un taglio netto sul cuore, e non lo sa perché ciò che ferisce non si vede ad occhio nudo.

Il mio volto sbianca, ma le palpebre sembrano non voler sbattere più. Al contrario i miei bulbi cominciano a subire l'effetto ancor prima del cervello, e una goccia scende a caduta ripida, che rimarrà lì in eterno ad essiccare.
«È benigno?» Vorrei sapere subito se posso rincorrere una speranza, o battermi per trovarla.

Si inumidisce con la punta della lingua le labbra.
«È passato attraverso i vasi sanguigni e linfatici. Vuol dire che ha metastizzato, e se si diffonde può attaccare altri tessuti.» E questa frase, piena di parole incomprensibili, che vorrebbe dire?

Osservo le rughe di mezza età che gli piegano la fronte, e capisco che è maligno.
Resto in silenzio, a fissare il cartellino che riporta il suo nome; Dottor. Stevenson.
«Inizieremo con delle chemioterapie per tentare di diminuire e sperare che si possa bloccare il processo.» Continua a spiegare, ma ormai il cortocircuito ha spento ogni terminazione dentro di me.
Stai parlando con un pallido riflesso, Stevenson.

«Oltretutto c'è anche un'operazione chirurgica. Può essere rischioso ma il problema diverrebbe quasi inesistente.» Le uniche parole che tesso nella lavagna mentale, sono: problema, diverrebbe, inesistente.

«Quanto costerebbe?» Sbotto veemente, spostando le iridi incredule dalla parete che procura melanconia, a quelle del dottore.

Lo noto intento a pensare, forse cercando un conteggio con le sopracciglia aggrottate.
«Credo, intorno ai quattromila dollari.» So bene che la cifra che ha snocciolato non è precisa, ma indicativa. Quello che però mi fa tornare nel covo della disperazione, è il problema che non ho niente sul mio fondo bancario. Ho speso gli ultimi risparmi per mantenermi la retta universitaria. Pagare l'affitto e bollette annesse.
Mamma sta male da un annetto ormai, ma ogni visita da altri medici, non avevano dato quest'esito dannoso per me.
Lei è l'unica persona che mi è rimasta, da quando papà è morto quando avevo solo otto anni.
Da allora lei si è rimboccata le maniche.
Mi ha fatto da mamma, da papà e da migliore amica.
Lei può essere l'unica amica che non ti pugnalerà mai.
E io dal mio canto, non sono mai stata una ragazza da festini alcolici. E neanche una tipa molto loquace.
Sono la classica ragazza insicura, che si rifugia tra pagine il cui fruscio e profumo di carta annesso ad inchiostro, bastano per sentirsi felice.

Mi sfrego con le unghie, il tessuto dei jeans che mi stanno larghi sulle gambe.
Anche se mi trovassi un secondo lavoro, oltre alla caffetteria, non racimolerei i soldi necessari per un intervento.
So solo che come lei ha fatto di tutto per me da piccola, io farò di tutto per lei.

«Pos...posso vederla?» Sussurro sfrangiata, e Stevenson annuisce lievemente con la testa.
La fatica che impiego per alzarmi, e le gambe che si piegano su se stesse quasi, danno i sintomi dei cedimenti.
Sento il tocco del suo palmo, posarsi in una specie di conforto sulla spalla esile, fino a condurmi davanti alla porta della camera.

Un sospiro teso, esce a tratti dalle mie labbra, quasi accompagnando il cigolio della maniglia.
Il fascio di luce lunare, abbaglia la figura di mia madre, stesa sul lettino e il lenzuolo candido a coprirla.
Sembra così invecchiata. Così piccola. Così indifesa, con il braccio che sbuca fuori dal lenzuolo, e la flebo attaccata.
Una lacrima si sfoga sulla guancia, e la raccolgo per toccarne la consistenza liquida su i polpastrelli.
I capelli biondo miele come i miei, sono più sporchi, spenti e stopposi come erbacce, ma non me ne curo.
Le dita corrono a carezzarla. Le scostano alcune ciocche dalla fronte fresca, mentre dorme beata.

Allungo una sedia di legno, accanto al suo capezzale e mi risiedo nuovamente.
Ruoto il pollice sul suo polso, in carezze circolari e poggio lateralmente il volto, sul suo fianco.
«Supereremo anche questa mamma. Te lo prometto.» La rassicuro amorevole, e forse è una frase che serve più a me che a lei.

/Night Thunder\      2 Vol. Serie "Fight without rules"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora