Capitolo 3

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Nel giro di un'ora a Feliciano Vargas era stata mostrata tutta la prigione, dalle cucine alle docce e ai bagni, dal centro per le visite alle celle di isolamento. L'italiano aveva avuto enormi problemi a prestare attenzione a quello che gli diceva Arthur, e aveva rischiato di perdersi più di una volta. Era ancora scosso dalla sua caduta in mensa, non tanto per il dolore, anche se le ginocchia gli pulsavano ancora, ma per l'umiliazione generale e lo sguardo di tutti i carcerati puntato su di lui. E il ricordo degli occhi azzurri e penetranti di Ludwig, mentre lo guardavano con un misto di fastidio e disgusto, era tale da fargli sentire una morsa all'altezza dello stomaco.

L'ultimo posto che l'inglese e l'americano fecero vedere a Feliciano fu il cortile, l'unico luogo della prigione in cui i detenuti potevano assaporare un piccolo assaggio della libertà. Dovevano solo ignorare le dozzine di guardie armate, le imponenti mura di cemento, e il filo spinato affiliato come un rasoio che luccicava minaccioso alla luce del sole sopra a quest'ultime. Era un ampio spazio posto sul retro del carcere, completamente asfaltato ad eccezione di qualche macchia di vegetazione.

Ridosso a una parete c'era un campo da basket i cui canestri avevano assunto un colorito arancio a causa della ruggine, mentre una pila di pesi era posta vicino all'ingresso del cortile e costituiva una palestra. C'era solo un albero, una quercia piuttosto alta ma senza foglie che si trovava perfettamente al centro. Alcune panchine e tavoli era sparse attorno all'aia, ma erano attaccati al terreno per evitare che i detenuti li usassero come arma.

Quando l'italiano raggiunse il cortile i carcerati aveva già finito di fare colazione da quasi un'ora e, in quel momento, si trovavano fuori. Una violenta partita di basket si stava disputando tra due bande rivali, anche se sembrava di guardare un incontro di wrestling, ma con più pugni e qualche pallacanestro occasionale. Diverse guardie si trovavano ai margini del cortile, accanto alle pareti di cemento, per mantenere l'ordine. I detenuti più corpulenti erano nella palestra a sollevare pesi o facevano addominali e flessioni. Altri si limitavano a stare con le proprie bande, lanciando sguardi sporchi alle altre.

Ludwig, ancora una volta, fu il più facile da individuare. Era in piedi poggiato al tronco della quercia e le braccia incrociate all'ampio petto. I suoi occhi erano chiusi, eppure sul suo viso era sempre presente la solita brutta smorfia. Non un solo detenuto si trovava a meno di una decina di metri dal tedesco. Tutti si tenevano a debita distanza da lui e da quell'albero, e l'italiano aveva intuito che fosse a causa del biondo stesso.

«Okay man, questo è il cortile.» disse Alfred mostrandogli l'area con scarso entusiasmo.

«Tuttavia, i detenuti non possono uscire quando vogliono.» disse Arthur vicino al castano «Rimangono qui fino all'ora di pranzo, poi questo posto resterà chiuso fino al giorno seguente e possono tornare alle loro celle o dedicarsi ad altre attività.»

«Tipo cosa?» chiese piano Feliciano, sperando di far perdere tempo alle due guardie in modo da non essere lasciato solo.

«Well, qualche lavoro » spiegò il britannico «Nelle cucine o in ufficio a fare piccoli compiti.»

«Abbiamo anche organizzato alcune sessioni per tossicodipendenti.» lo informò l'americano «...non è che fai uso di droga, vero?»

Prima che Feliciano potesse rispondere Arthur lo batté sul tempo «Certo che no, Alfred. Non ti sei preso nemmeno la briga di leggere il suo file, eh?» disse alzando gli occhi al cielo.

«Non prendertela con me, dude. Poteva anche non esserci stato scritto.»

«Scritto o no, dovresti sempre preoccuparti di leggere tutto in modo approfondito.»

Feliciano rimase in silenzio ad ascoltare le due guardie; nel lasso di tempo in cui era già stato lì aveva notato che quei due litigavano come una vecchia coppia sposata anche per le questioni più banali.

Shades of Innocence || 𝒂 𝒈𝒆𝒓𝒊𝒕𝒂 𝒇𝒂𝒏𝒇𝒊𝒄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora