Capitolo 5

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Mi svegliai di colpo, tutto rintontito e con la testa che girava. Ci misi un attimo a capire cosa ci fosse che non andava, anzi, più precisamente cosa non ci fosse.
C'era un silenzio surreale, ci eravamo fermati.

Sganciai velocemente lo zaino e mi sposi per vedere la situazione.
Un vagone più avanti c'erano due vecchi uomini che scaricavano delle enormi casse di vimini appoggiandole su un carrello.

Uno dei due, iniziò a spingerlo mentre l'altro cercava di chiudere il portellone, prima che ci riuscisse però l'uomo col carrello lo chiamò per dargli una mano a disincastrare una ruota.
Non ci pensai due volte e non appena il vecchio si allontanò dalla porta dandomi le spalle io saltai giù dal mio nascondiglio e salii velocemente nel vagone.

Mi sistemai dietro a due grandi casse in modo da non essere visibile ad una prima occhiata e non riuscì a trattenere una tacita risata.

Non so se fosse di gioia o d'istteria, fatto sta che non riuscivo a smettere di ridere. Tutta l'adrenalina, il pericolo, l'ansia mi davano un brivido d'eccitazione lungo la schiena.
Quando sentii i possenti passi dello scaricatore riavvicinarsi al portellone mi tappai a forza la bocca per essere sicuro di non tradire alcun suono, e quando chiuse il lucchetto mi sentii invincibile.

C'è l'avevo fatta, c'ero riuscito ed era tutto merito mio.
Mi sembrava di poter scalare il mondo, non mi passo nemmeno per la testa il problema di come avrei fatto a scendere, di cosa sarebbe successo se mi avessero preso.
Forse perché questi pensieri non mi avevano neanche sfiorato la mente, o forse perché semplicemente non mi importava. In quel momento stavo bene e quella era la cosa importante.
Mi sdraiai, appoggiando la testa sullo zaino.

La borraccia mi batteva alla base del collo dandomi parecchio fastidio ma ero troppo felice per preoccuparmene.
Stavo ancora pensando al colpo di genio che avevo avuto quando un rumore mi fece sobbalzare.

Feci per alzarmi ma un peso sullo stomaco mi schiacciò a terra e una lama scintillò nel buio.

«Chi sei tu e cosa ci fai qua, nel mio vagone?» disse l'individuo che si era beatamente seduto sopra al mio stomaco.
Aveva una voce bassa, marcata, come se cercasse di dimostrare più anni di quanti in realtà non ne avesse.

Sinceramente non mi feci prendere dal panico, non ho mai compreso a fondo questa parte di me, sarà a causa del mio carattere un po' menefreghista ma sono sempre stato in grado di mantenere il sangue freddo in qualsiasi circostanza.
Questo mi aveva aiutato molto durante le gare, le interrogazioni o semplicemente ad avere la faccia tosta di mentire spudoratamente a qualcuno, ma anche abbastanza triste.

Una volta io Aisha, Matteo e altri nostri amici eravamo entrati in una casa abbandonata ad halloween, così, per divertirci un po'.
Era una vecchia villa in periferia su cui  avevano cominciato a girare varie storie horror.

Erano tutti terrorizzati, le ragazze urlavano i ragazzi avevano afferrato delle spranghe di metallo e le tenevano davanti a loro a mo' di spada, anche Aisha che solitamente era il coraggio fatto donna si era avvinghiata alla mia maglia spaventata.
Non dico che non avessi paura, perché ne avevo, ma il mio cervello non voleva saperne di pensare normalmente.
Se i miei amici gridavano ai fantasmi io calcolavo tutti i possibili percorsi che avremmo potuto usare per uscire. Avrei davvero voluto divertirmi con gli altri ma non ce la facevo.
Come ai ristoranti, non posso dare le spalle all'entrata sennò non mi siedo, piccole ossessioni che però mi fanno sembrare ansiotico.

Alzai lo sguardo, ancora assorto nei miei pensieri, e cercai di mettere a fuoco il viso del mio aggressore, nonostante la poca luce mi rendesse l'impresa molto difficile.
«Allora? Vuoi rispondermi?»

Con un movimento secco mi alzai a sedere facendo cadere il ragazzo all'indietro e approfittando del momento gli strappati di mano il coltello e lo lancia distante.
Provò a tirarmi un pugno ma io gli bloccai le mani, si dimenò, tentando di liberarsi, cercò anche di mordermi le mani prima di esplodere
«Lasciami andare subito!»

La sua voce era cambiata, non tentava più di abbassarla, ora sembrava un ragazzino, acuta, fin troppo, non gli avrei dato più 15 anni.
«Sei tu quello che mi ha minacciato con un coltello» dissi con calma.
«credo di essere io quello che dovrebbe chiedere spiegazioni»
Smise di muoversi, si sedette ed abbassò la testa.

Io con riluttanza gli lasciai le mani e senza mai dargli le spalle presi dallo zaino la mia torcia e la appoggiai a terra.
Appena alzai lo sguardo vidi dei grandi occhi color nocciola fissarmi in cagnesco.

«voglio solo delle risposte» specificai
«Sei entrato nel mio vagone come se nulla fosse e ti sei sistemato neanche fosse casa tua»
Lo fissai confuso
«E vietato?»
«Tecnicamente sì »
«Non era quello che intendevo»
«Che ne so io che non sei un assassino o roba del genere? Volevo spaventarti e farti scendere il prima possibile. E comunque questo posto l'ho occupato prima io, e nessuno mi mette i piedi in testa nella mia zona. A meno che non voglia morire, ovvio.»

Trattenni a stento una risata, un cespuglio di ricci biondi con il viso da bambino che mi minacciava di morte non era cosa una cosa che si vedeva tutti i giorni.

Lui mi filminò con lo sguardo.
«Non provare a sottovalutarmi»
Alzai le mani in segno di resa.
«Non oserei mai» risposi
«Io sono Paol-» il nome mi si bloccò in gola, scossi la testa, come per scacciare quel pensiero «Angel, tutti mi chiamano così»
«Angel? Ma che nome... da donna»
«A me piace» dissi alzando le spalle
«Vabbè, io sono Cameron»
Tesi la mano per stringergliela ma lui mi ignorò.
«Come mai sei qui?» chiesi, giusto per avviare una conversazione.
«Non - sono - affari - tuoi» mi apostrofò, scandendo la frase parola per parola.

Stava iniziando a darmi sui nervi.

«Io vado a dormire, non osare avvicinarti» disse prima di alzarsi e di dirigersi verso l'altro lato del vagone.
Io lo imitai, andai verso il mio zaino e tirai fuori però solo la coperta, non potevo rischiare di usare il sacco a pelo, era troppo lungo da mettere via e io di tempo rischiavo di non averne.
Mi stesi, mi accoccolai nella coperta e, non appena chiusi gli occhi, il sonno prevalse.

Mi svegliò un violento scossone, stavano cercando di aprire il portellone.
Non sapevo quanto avessi dormito ma ero quasi sicuro che quello fosse il capolinea.
Sistemai in tutta fretta lo zaino e cercai di ragionare, ero stato un incosciente a non pensare ad un piano d'uscita.

Vidi Cameron dall'altra parte del vagone, anche lui aveva lo zaino in spalla e un espressione non troppo rassicurante.
Era preoccupato come me, se non di più.

La porta si aprì e, neanche ci fossimo messi d'accordo, scattammo in piedi e saltammo fuori travolgendo l'addetto che fu troppo sorpreso per agire.
Vidi che stava arrivando un altro uomo da dietro il porticato, ma Cameron sembrò non notarlo.

Lo afferrai per lo zaino costringendolo a correre nella mia direzione, per un attimo sembrò sul punto di tirarmi un pugno ma poi vide anche lui l'uomo sotto il portico e la sua espressione mutò da incazzata a molto sorpresa.
Continuammo a correre finché non fummo fuori pericolo.

Eravamo arrivati in un giardinetto secondario ai margini della strada.
Ci buttammo a terra sfiniti.

«Perché ti sei preoccupato di aiutarmi?» chiese a quel punto Cameron «Se avessi reagito male, come avevo intenzione di fare, ti saresti fatto prendere. Ti sei preso un bel rischio»

«Boh» scoppiai a ridere «In tutta sincerità non ne ho proprio idea. Ho agito d'istinto. Mi stavi pure un po' sul cazzo, però dai, non credo tu sia tanto male»
Mi arrivò un pugno sulla spalla
«Ahia!»
«Non insultare le mie capacità di stare sul cazzo alla gente» disse dispiegando le labbra in una specie di sorriso.

Non un gran che ma pur sempre un sorriso, il primo da molto tempo a giudicare dalla rapidità con cui tornò serio.
«Bene, e ora che si fa?»

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