𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐭𝐫𝐞 , forte

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Quando riaprì gli occhi, era intrappolata ad una carrozzella. Delle stringhe in pelle la stringevano i polsi e caviglie, non facendo circolare il sangue. Non riusciva a fiatare per colpa di una strana museruola che le serrava le labbra, le sudavano le tempie. Non riusciva a collegare i nessi, perché fra tutte le persone proprio lei? Rimase a fissare la gente attorno a se, che aveva divise beige e svastiche. Certo aveva capito che dei nazisti l'avevano presa, ma ora dov'era? In Germania, probabilmente, datosi che ogni cosa che sentiva e o cercava di leggere erano in tedesco. Così si era autoconvinta creandosi nuoce paure e timori. La carrozzella in ferro battuto andava avanti e indietro per dei corridoi dispersivi di quello che forse era un laboratorio.
Morirò pensò rassegnata la ragazza ritrovandosi in un freddo e illuminato laboratorio spoglio.

Un lettino era collocato al centro della stanza piastrellata di bianco, affianco un mobiletto in ferro veniva usato per possiate bisturi e attrezzature varie. Con orrore, Tayna vide una sottospecie di forno super futuristico impiantato nel muro. Era lungo e una persona poteva ben entrarci, le voci della ragazza le consigliarono le carie vie di fuga. Altre invece descrivevano con freddezza la fine che avrebbe fatto. Ma lei non sorrise, rimase ferma e passiva davanti a ciò che le stava per capitare. Lo sguardo era spento e di conseguenza, gli occhi non esprimevano emozione. Da anni il tormento la perseguitava, forse questa era l'occasione per finire le sofferenze. La trasportarono verso il forno, quando la liberarono rassegnata si fece aiutare per stendersi nell'oggetto. Tutto questo in un silenzio angosciante persino per i nazisti che l'assistevano. Luci scure diedero segno che l'agonia stava per iniziare, le fece un sospiro e pensò a Bucky e Steve. Una lacrima salata le rigò il volto, ma più pensava ai suoi amici e più si dava forza. Strinse i pugni per sopportare il dolore che le pervase il corpo.

Digrignò i denti, iniziando a dare pedate alla piccola porticella in vetro massiccio che pian piano cedeva. Gli agenti tedeschi iniziarono a parlare incomprensibilmente, come per dirle di smettere. Lei testardamente ricominciò con le pedate, sempre di forti. Le luci del cubicolo si intensificavano sempre di più e anche il dolore con esse. Più lei si impegnava più si sentiva potente, ma stava soffrendo fisicamente. Stringeva i pugni per sfogare il dolore sui palmi, creando delle piccole lunette scavate dalle unghie. Con un urlo finale la porta di distrusse, quando uscì dal trabiccolo non lo fece con i piedi per terra. Ma bensì volando, non sapeva neanche lei come facesse ma lo stava facendo. Il dolore atroce si trasformò in rabbia che doveva essere vendicata.

𝐈𝐍𝐄𝐋𝐔𝐂𝐓𝐀𝐁𝐋𝐄 ⭑ marvelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora