Bocce

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- Cioè... Davvero è tua sorella?
Sì, è sua sorella campione, veloce dai.
- Oh... Ehm...
Ti devi muovere! Parla!
- Certo... che oggi mi avete preso di mira, cos'è una candid camera? dove sono gli operatori?
Ma che stai facendo... Una battuta così, mentre ti sforzi di sorridere? Sei geniale, complimentoni.
- Sì in effetti quella è mia sorella... mi scuso per lei guarda, non sa proprio comportarsi.
Ma che fa, si scusa? Sul serio, fuori le telecamere.
- Non so cosa mi sia preso. Tua sorella non è Madre Teresa, ma ci ho messo del mio.
- Lei è sempre stata così... cioè ultimamente se ne passa però... Va beh lasciamola fuori comunque. Fatti suoi. Mi chiamo Andrea!
- Ah, certo, che scemo! Piacere, *CENSURA*!
- *CENSURA*! Sei una cosa assurda, troppo simpatico giuro!
Che cazzo sta succedendo nella mia vita?
- Oh... Grazie?
- Dai mia sorella è fatta così tanto, non ci pensa'! Non ti ho mai visto comunque, vieni a scuola qua?
Da fuori questo ragazzo sembra molto insicuro, ma sa ciò che vuole, sceglie bene cosa dire. Sembra gli dia fastidio parlare di Maya.
- No, io prendo il secondo pullman. Magari non mi hai visto per questo.
- Certo, sicuro... Ma il secondo che arriva alle otto e un quarto?
- Lascia perdere...
Maya. In un istante si materializza fuori dal pullman, ci lancia un'occhiata e se la ride. Passa avanti come se non ci avesse mai visto. Sono pietrificato. Andrea potrebbe star parlandomi. In questo momento potrebbe star parlandomi anche Elisabetta Seconda però. C'è questa figura che non mi lascia libero di muovermi, di pensare ad altro. Sono fottuto completamente da quella figura, mentre se ne va. Mentre se ne vanno quei capelli. Non tira un filo di vento stamattina. Non abbastanza da piegarle la chioma almeno: un milione di ricci, una criniera d'oro rosso, quasi insanguinata dal sole basso del mattino. Vi immerge ancora la mano. Il colore della sua pelle tra i fili pregiati di quella lana ha il colore del latte quando piove. E si gonfia il crine, non vuole star buono, suona al ritmo dei suoi stivali, così robusti e neri, che già immagino, nascondono caviglie delicate come vetro e promettono gambe morbide e generose. E più in alto non faccio che vomitare il mio istinto maschile, con una veracità disturbante. Quasi mi vergogno di fissare tanto quella stronza-zione. Tanta insolenza dimostrata ora non faceva che accentuare il selvaggio che scorgevo in le-zione... Quindi mi piace ufficialmente una ragaz-zione. Pensa a raccontarlo a Miche-zione. Che-ZIONE!
- RICREAZIONE?
- ... ah?
- CI STAI A RICREAZIONE? Oh, tutto bene?
- Ah... Ehm... Sì certo, perché no...
- Ecco... Frequento il Leopardi solo da quest'anno, vengo dal tecnico di Porto Felice... Non ho ancora avuto modo di fare molte amicizie...
- Ah, non sai che ti perdi...

(nota dal futuro: ragazzi scusate l'ennesima incursione. Mi sono dimenticato di presentarvi un personaggio fondamentale senza il quale non potrei più continuare la mia storia. Si chiama Scemo di Guerra. Preso da Maya Scemo di Guerra a quanto pare si è dimenticato che sopra quel pullman non c'era solo lei. Perdonatemi, procediamo)

Merda è Diego quello.
Faccio giusto due passi indietro, ma quell'accrocco di fibre e proteine mi prende sottobraccio e comincia a camminare. Nel frattempo Andrea corre via. Va beh, forse l'avrei fatto anch'io, niente da dire. La via della fermata è abbastanza lunga. Percorrendola a ritroso non ci diciamo nulla. Io mi faccio portare. E approfitto per ricordare qualche bel momento della mia vita e dire qualche preghierina prima delle mazzate. Tutto mentre maledico la vita e bestemmio, per inciso. Scusa mamma. Arriviamo fino ad un parco. Oddio... parco... qui c'è l'erba che mi arriva alle ginocchia. Gli insetti avranno costruito una società nel sottobosco, con scuole e ospedali. Quasi mi metto a ridere per il mio ritardo nel pensare a cose simili in un momento simile, se non fosse che mi arriva un pugno sotto lo zigomo. Non ho mai fatto a botte. È il primo pugno che prendo in tutta la mia pacifica vita. Come descriverlo... Beh, prendete una scala. Fateci salire un vostro amico. Ah, e che porti una boccia con sé. Quelle del bocciodromo, sì. Sdraiatevi al di sotto della scala e fate cadere quella boccia di novecento grammi sulla vostra fottutissima faccia! Cado a terra in 0,3 secondi. Sento altri due proiettili allo stomaco, firmati nike. Mi corico per non prendere il terzo. Come risultato mi arriva in testa. Sono solo dolore, non sento nient'altro. Non riesco a capire quanto tempo stia passando. Sento anche delle urla ora. Sento confusione. Una voce femminile forse. Fruscìo d'erba. Uno schiocco sordo. Uno schiaffo probabilmente. Poi più niente. Nero. 

Io non mi chiamo John (Do - Re - Mi)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora