Il sole sbucò dalla sommità del monte Terminio e puntellò il ciano di cui si era dipinta la volta celeste, indifferente alla volontà di chi bramava che non sorgesse ancora. La giovane donna si era ammantata nell'oscurità della notte precedente, smarrita in un orizzonte nero, dove le stelle si erano spente una dopo l'altra e a rischiarare il cielo c'erano solo i rimorsi.
Francesca era seduta sul bordo del letto e la stanchezza le si era avvinghiata agli occhi, la mano sinistra ghermiva con vigore le lenzuola sbiadite del materasso cigolante, mentre l'altro palmo accartocciava il ritaglio del vecchio quotidiano. Le parole, impresse con inchiostro nero sul foglio ingiallito, urlavano il segreto delle sue origini, una macchia sul proprio nome che era stata celata per trent'anni. Le pupille miravano, oltre il vetro opaco delle finestre, il sole giocare a nascondino sugli Appennini, come aveva fatto anche la Luna che lei aveva fissato per tutta la notte, incapace di abbandonarsi al sonno.
Spostò, poi, lo sguardo dalla finestra e lo portò sulla specchiera che era accanto all'armadio, la sua figura stanca riverberò nel vetro sporco e apparve turpe come i peccati di cui lei si era macchiata. Si era nascosta in un motel economico e aveva tenuto tra le mani lo smartphone nella speranza che lui la chiamasse; infine, lo aveva gettato con stizza contro il muro e lo schermo era stato puntellato da una lesione che partiva dall'oggetto e varcava la soglia della sua anima.
Un rovo di spine circondava e pungeva quel muscolo sanguinante che aveva, ormai, smarrito ogni battito. Era irretita, arpionata, il fiato affievoliva in gola e picchiettava contro le corde vocali, un suono smorzato si posava sulla bocca e un peso gravava tra lo sterno e il costato. La trappola, che aveva tessuto per l'uomo, era divenuta la sua condanna, la colpa con cui fare i conti. Avvertì le guance inumidirsi, aprì il palmo per lasciar andare il lenzuolo e asciugò le lacrime di costernazione che tracimavano dalle rime ciliari. Infine, serrò le palpebre con vigore, certa che, se le avesse schiuse, il volto spigoloso dell'ex compagno avrebbe riempito le iridi smeraldine.
Un tonfo riempì l'aria della stanza quando un colpo poderoso fu battuto contro il legno scrostato della porta, seguito da altri di simile intensità. Sgonfiò le guance, sbuffando sonoramente, e si alzò riluttante; poi, senza neppure accertarsi di chi ci fosse di là del battente, tolse il chiavistello.
L'uomo avanzò nella camera scarsamente illuminata, tale da non poter osservare le pareti umide e il mobilio decadente. Anch'egli, come Francesca, aveva trascorso la notte insonne, annichilito dalla delusione e dalla fiducia calpestata dalle scarpe avvelenate e insanguinate della sorellastra. Alle prime luci dell'alba, dopo aver cogitato a lungo, aveva svegliato la sorella, costringendola a rivelare dove fosse Francesca.
Francesca indietreggiò stupita, l'evanescente speranza risollevò l'animo martoriato da un'intera vita di sofferenze. Aveva perso tutto più di una volta e il dolore, che era la costante perpetua della sua intera esistenza, le aveva plasmato il docile spirito: fu un siero letale che macchiò la nobiltà dei suoi sentimenti. Non era rimasto nulla dell'innocente ragazza, solo un cumulo di cenere dal quale era risorta nel nome dell'odio e della rivendicazione. Un veleno si era diffuso in ogni cellula del suo corpo, l'odio aveva ottenebrato le iridi radiose rendendole più nere della pece, la vendetta si era mescolata al sapore ferroso del plasma all'interno della bocca. Erano stati colpi inferti a mano ferma dal fato e dalla passione divampata per colui che l'aveva condotta, nella sua finta indifferenza, verso il baratro della perdizione. Annaspava nella consapevolezza della propria colpa: era lei la fautrice del male appena compiuto, un'opera di distruzione generata dalla bramosia di un riscatto vacuo, poiché il nastro del tempo non si sarebbe riavvolto e non avrebbe potuto mai stringere tra le braccia il figlio perduto. Aveva trascorso gli ultimi anni anelando una rivincita; aveva vissuto, innanzi agli occhi, quegli avvenimenti molteplici volte, benché le conseguenze non avessero sortito le emozioni immaginate.
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La tela della libellula
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