Genesi

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Era il grigiore indefinito che precedeva l'alba, quello che i due giovani non vollero aspettare, impazienti di viversi e annientarsi; attendere che la nottata passasse e portasse via con sé il ricordo di quel che fu e non sarebbe più stato.

Furono le campane della Basilica di San Giustino a destare Francesca dal sonno. La giovane si era alzata solerte dal letto e precipitata al piano inferiore, smaniosa d'iniziare il rito. Si avvicinò alla portafinestra, che dalla cucina conduceva al terrazzo ricoperto da un sottile strato di neve, mentre stringeva tra le mani la ceramica di una fumante tazza ripiena di cioccolata calda. Osservò il sole sorgere e riflettere un riverbero dorato sul suo vigneto, mentre una distesa grigia, bianca e marrone ricopriva le colline irpine senza che queste perdessero il loro fascino. Sospirando andò verso la camera di Davide, pregando affinché nessun altro fosse già in piedi. Era stata la prima a svegliarsi, era una tradizione a cui non avrebbe mai rinunciato nel giorno precedente all'antivigilia di Capodanno. Era stata la nonna materna a insegnarle che per rendere speciale un onomastico occorreva una massiccia dose di cioccolata calda: usanza che non dimenticava mai di donare all'amato fratellastro.

Si mosse tra il fruscio della vestaglia in pile e i battiti di un cuore pavido. Non bussò, ma si addentrò incedendo lentamente e invase la camera buia con il proprio inconfondibile odore: non aveva bisogno di profumi, era la carne a esser pregna di aromi dolci che fluttuavano nell'aria fino ad arrivare alle narici del ragazzo. Scostò le tende azzurre per lasciare entrare i deboli raggi solari di fine dicembre, ma Davide finse di dormire ancora, nella vana speranza che i propri battiti tornassero a pulsare a un ritmo regolare. Metà volto sprofondava nel candido guanciale zuppo di sudore del giovane che, durante la notte, aveva combattuto un'estenuante guerra contro il desiderio che provava per lei. Aspettò di averla accanto e solo quando percepì il materasso abbassarsi sotto il peso delle sue ginocchia, mostrò i primi segni di risveglio. Francesca alitò nel suo orecchio, le labbra quasi sfiorarono il lobo e Davide avvertì il corpo scosso da fremiti incessanti, un tremolio che investì entrambi e percepibile anche nel palmo della sorellastra. Schiuse le palpebre, fingendo stupore, e le sue iridi si riempirono di magnificenza nell'osservare i tratti delicati della ragazza; cercava invano di contare le efelidi presenti sul suo volto, smarrendone sempre qualcuna, mentre le loro pupille s'incatenavano le une alle altre.

«Buon onomastico» gracchiò Francesca, sentendo le corde vocali lacerarsi; il fiato si era posato sulle sue labbra, mentre tutte le parole che avrebbe voluto pronunciare si fermarono in gola.

«Cioccolata calda? Non te ne scordi mai, grazie.» Le loro falangi si sfiorarono quando le mani del giovane si posarono intorno alla tazza.

«Ho capito, vuoi la solita dose mattutina di caffè! Vado a riempire la macchinetta, ma devi bere prima la cioccolata. È di buon auspicio.» Francesca si mosse appena un po', ma Davide fu più veloce di lei e le afferrò il braccio per chiederle ciò che più desiderava, dimenticando ogni buon proposito di non sfiorarla nuovamente: «Neppure un bacio di auguri mi merito?»

Le labbra di Francesca finirono sulla guancia del fratellastro, troppo vicine all'angolo della bocca, concedendogli una pressione lieve ma prolungata. Il calore si diffuse nel corpo dei ragazzi e il rossore accese i loro volti. Nessuno dei due poteva immaginare che l'altro provasse le medesime emozioni, eppure era così palese il loro appartenersi.

«Va-vado a preparare il caffè» Francesca farfugliò, sfuggendo alla pericolosa, e desiderata, vicinanza.

Raggiunse, solerte, l'uscio, ma un richiamo roco la fece voltare. «Vuoi venire con me al vigneto, stamattina?» Davide amava quelle terre come se fossero davvero appartenute alla famiglia di origine. Ricordava quando da bambino accompagnava la madre, operaia dell'azienda vinicola di proprietà dell'uomo che sarebbe divenuto, poi, il marito, alle vigne e si nascondeva, estasiato, tra gli arbusti sperando che nessuno lo portasse via di lì. Aveva speso il proprio tempo e le proprie forze per quei tralci, pampini e vitigni che portavano il nome dei Lombardi, lavorando sin da ragazzo, nonostante gli studi liceali e universitari che di lì a poco sarebbero terminati. Aveva intrapreso la carriera accademica scegliendo la facoltà di Agraria di Avellino e l'anno che stava per giungere l'avrebbe visto laurearsi nei tempi previsti, nonostante gli impegni lavorativi. Francesca avrebbe conseguito la maturità nello stesso anno e, al pari del fratellastro, aveva lavorato le sue terre, eredità materna come la casa in cui abitavano.

La tela della libellulaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora