IV

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(Alain)

«Wow, è un miracolo che sia ancora viva. Kieran l'ha trovata giusto in tempo! Sarebbe stato un gran danno se nessuno fosse sopravvissuto.»

«Il gran danno c'è stato comunque, la chiesa è bruciata e tutte le prove sono andate in fumo. Letteralmente.»

«Che umorismo scottante.»

«Stai zitto Lee.»

«Pensate che possa avere qualche talento speciale? Che ne so, tipo il volo o la localizzazione dei nemici, in stile insetto. Sarebbe fighissimo!»

«A me non pare sia molto magica...»

«È quasi bruciata viva, Raphael, è ovvio che non è al massimo della forma.»

Il mio corpo non reagiva, per quanto sperassi. Mi sembrava di galleggiare nell'aria, non sentivo alcun contatto con la pelle, ma un formicolio costante e fastidioso sparso per il petto. La mia mente era occupata da lampi azzurri e gialli. Vidi il fuoco vicino a me, così tremendamente reale, il caldo sui polsi, il sudore sulla fronte e il bruciore agli occhi e alla gola. Qualcosa però mi tirò via e mi rinfrescò con un alito fresco.

«Credi ci fosse in mezzo un Cavaliere?»

«Ho cercato in giro, ma di loro nessuna traccia. I vigili del fuoco ci hanno messo quasi due ore a spegnere quel rogo, è impossibile che non ne siano venuti a conoscenza. Colpa loro o no, ora sono in vantaggio.»

«Lei può esserci utile? Mi pare piuttosto minuta.»

«Lo eri anche tu all'inizio, Elko, e Piers è ancora più forte di te. Non fare il macho. L'aspetto non conta, conta la pedina e le abilità che... Oh! Ma si è mossa! Kieran, vieni, è viva!»

Sentivo tante voci, una diversa dall'altra. Mi parve persino di sentire una ragazza, lì in mezzo, ma il suo tono era duro e diffidente.

«Temevi il contrario? Forza, Hazel, segui la mia voce, avanti. Svegliati, torna da noi.»

Quella voce era maschile, pacata e stranamente rasserenante. Era strano che mi sentissi bene seppure non riuscissi ad aprire gli occhi e a esaminare la situazione, anche suor Elisa era capace di calmare i bambini con poche parole. Il fuoco arse meno forte e riuscii a sfuggire dalle sue lingue, tornando a galla.

Aprii gli occhi. La prima cosa che vidi fu un soffitto bianco splendente con dei lampadari pendenti, simili a preziosi gioielli. La mia testa era libera da ogni pensiero, vuota, il corpo era leggero, come se gli mancasse qualche peso interiore. Sbattei gli occhi e mossi le dita, assicurandomi che ci fossero tutte.

Davanti a me si trovavano undici ragazzi che non avevo mai visto o conosciuto prima di allora. La Saint-Marie faceva molte attività con associazioni di vario tipo, anche private e avevo conosciuto molti altri ragazzi che, volenterosi, aiutavano senza pretendere niente in cambio, tuttavia non riconobbi nessuna delle facce. Mi stavano fissando come se fossi qualcosa di strano, come se fossero sorpresi e stranamente sollevati.

Ero in un lettino, le coperte erano soffici e calde, troppo pesanti per quella stagione primaverile. A fianco a me ce ne erano altri, l'intera stanza ne era piena, tutti simili, con il materasso sottile e la testiera di metallo. La stanza era grande, presentava molte finestre e le tende, tirate, filtravano i raggi di un sole rosso.

«Ti sei svegliata, finalmente» disse un ragazzo e, mollemente, si sedette sul materasso, tirando un poco le coperte per il peso.

Aveva i capelli ondulati, di un biondo scuro, ma più debole del mio, gli occhi azzurri, avvolti da una sfumatura più scura verso la pupilla. Indossava una camicia chiara e dei jeans scoloriti, mi sorrise con fare affabile, ma decisi di non cambiare la mia espressione confusa.

Our solemn hourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora