Presa di coscienza

17 1 0
                                    

I riquadri sul soffitto raccontavano la storia di Guerrieri, Maghi, Draghi, Imperatori, la storia di un mondo diverso fatto di sofferenza, ma anche di nobiltà. Mi sembrava di spiare la vita di personaggi sconosciuti; riuscivo a entrare nei riquadri e, appena incrociavo lo sguardo con qualcuno di essi, mi soffermavo a pensare e immaginare. Sembrava di essere avvolti nell'atmosfera, nell'ambiente. Sembrava di essere la roccia, l'albero, il personaggio stesso che respirava e viveva. Ogni riquadro mi catturava al punto che la mia mente e tutto il mio essere erano completamente assorti nella scena; quando mi immergevo, divenivo uno spettatore invisibile come uno spirito, un pensiero o un ricordo. Con il mio corpo inerme e paralizzato pensai che l'unica parte che potevo muovere fosse la mia mente e forse, se fossi riuscito a condurla nella storia fino in fondo, avrei compreso come liberarmi per tornare a casa dalla mia compagna di vita Elena e l'adorata figlia Marina. Il primo riquadro raffigurava un'angusta cella putrida e maleodorante. La sensazione era inverosimile, potevo essere ogni oggetto lì presente, ma allo stesso tempo respiravo l'aria pesante percependone l'odore nauseabondo. Decisi di immedesimarmi in quella realtà non riuscendo più a uscirne, ero diventato la storia stessa.La stanza era buia, illuminata da una semplice torcia affissa alla parete. Schiariva la roccia rossastra colma di particelle di argilla che scivolavano sotto i fragili rivoli d'acqua che trasudavano dalla parete. Seduto al suolo, con la schiena poggiata alla parete, giaceva una figura incappucciata vestita con un saio nero. Non aveva volto, ma una maschera color avorio. La testa china sulle ginocchia come infreddolito, immobile nella sua solitudine.                                                        L'atmosfera gelida era attraversata da un filo di luce lunare che filtrava dalla piccola inferriata che si apriva nella parete. Tutto era immobile fino a quando la nera figura si alzò in piedi a osservare la luna dal piccolo rettangolo. Essa illuminava il suo viso, disegnava linee simili a un foglio di ceramica e rifletteva una luce chiara espansa dalle gocce d'acqua intrinseche nella fresca aria primaverile.                                                                                                                                                Una piccola falena entrò nella cella attraverso la fessura della piccola apertura, svolazzando nella parte alta della camera. L'essere alzò il volto coperto nell'intento di guardare il piccolo insetto dalle antenne pennate che si librava in volo. Si trattava di una falena conosciuta con il nome di "Testa di morto", così soprannominata a causa della macchia biancastra disegnata sul torace, interrotta da due puntini neri, che ricordava un teschio. La parte superiore delle ali era brunastra, venata di bianco e grigio. Diversamente, le ali posteriori erano gialle con due bande ondulate marrone scuro. Assistere a quello spettacolo fu commovente anche se, da parte mia, anonimo. Il personaggio ombroso che, come seppi, si chiamava Solo era meravigliato dalle acrobazie della piccola creatura. Forse fu un caso che fosse entrata nella stanza proprio una falena, dato che questo insetto simbolizza l'anima di chi non trova pace, la trasformazione, la conoscenza di chi viaggia tra il mondo delle tenebre e quello della luce. Fu proprio quel piccolo evento a destare la normalità. Si vide una piccola e flebile luce entrare da un'apertura basculante posta nel lato basso della porta di accesso chiusa e sprangata. Il rumore di un raschio accompagnò l'entrata di un piatto in rame colmo di un liquido verdastro maleodorante; una voce echeggiò: «Mangia». S'intuì che quella fosse la cena. Dalla cella però non provenne alcun rumore, la figura mascherata era sparita. Così il misterioso carceriere aprì freneticamente la porta ed entrò. Era un essere piuttosto orrendo e puzzolente che, ansimando, scrutò ogni angolo della piccola stanza.                                                                                                                                          Ad un tratto l'allarme, le urla: «È fuggito! Il prigioniero è fuggito!». Una frenesia incontrollata, i soldati correvano percorrendo i corridoi ombrosi, su e giù per le scale. Seguendo la scena mi accorsi che alcune porte si aprivano e chiudevano senza che nessuno fosse presente, decisi quindi di seguirle per capire. Ero al sicuro, ero uno spirito, ero aria, nessuno mi poteva scorgere. A un tratto Solo ricomparve d'incanto così come era svanito. Apparso d'innanzi a me stremato e senza forze, si accasciò al suolo e rimase nascosto per un paio d'ore in un locale che ricordava una dispensa. Recuperate le forze, si alzò in piedi, svanendo e ricomparendo di tanto in tanto per riprendere fiato, poi si diresse verso l'uscita. Era l'imbrunire, l'aria sapeva di fuliggine e il suolo era caldo. In lontananza crescevano incendi, focolari alimentati dal bruciare di arbusti e da resti di edifici non ancora inceneriti. La figura scura incappucciata si allontanò da quella che era chiaramente una prigione. Era riuscito a fuggire percorrendo delle scale in salita che lo avevano condotto fuori dalle segrete. Una volta fuori, alla luce della luna, si accorse che nessuno lo inseguiva, così cominciò a pensare che forse non fosse un prigioniero così importante, forse lo avevano dimenticato. S'intuiva limpidamente che Solo non aveva coscienza di sé, non sapeva chi fosse, la sua mente era completamente vuota. Si sentiva perso tra il nulla. In più occasioni tentò di togliersi la maschera bianca ma, essendo fusa con la sua pelle, nessun tentativo andò a buon fine. Le sue domande aumentavano almeno quanto i suoi dubbi, non sapeva come mai avesse quella maschera né chi gli avesse inflitto tale punizione. La mancanza di conoscenza e il desiderio di trovare una risposta a quelle domande lo portarono a vagare per qualche settimana in quell'etrartorio arido, desolato, colmo di guglie emerse dal suolo. Fatte di etrar, esse raggiungevano picchi alti centinaia di metri. Non vi era nulla, tutto era bruciato e privo di vita, l'unica costruzione degna di nota, non in rovina, era quella da cui era fuggito. L'etrarreno era di colore rossiccio ed era coperto quasi interamente da sabbia. Spesso Solo tornava a spiare ciò che si ergeva sopra le segrete nella speranza di carpire qualche informazione, comprendere almeno chi era stato il suo carceriere. Il palazzo era posto al centro di una barriera circolare naturale composta di dieci guglie di pietra, ciascuna alta circa venti metri. L'aspetto rossastro contrastato da sfondi più scuri tendenti al marrone e al nero contribuivano a dare risalto al palazzo. Un edificio costruito con grossi blocchi di granito rosa, con perimetralmente un maestoso porticato che racchiudeva il cuore del complesso granitico. Centralmente si ergeva un palazzo a forma di falco, il cui colore chiaro illuminato dai raggi solari rifletteva sul suolo arzille linee di luce. Chiaramente affascinato dal maestoso spettacolo, Solo tentava di dimenticare che fosse un evaso. Non conosceva i motivi per cui era stato rinchiuso e la stessa ignoranza gli proibiva anche di capire perché fosse fuggito. La stessa maschera era un dilemma.                  Quando incrociava qualche altra anima diveniva invisibile per un massimo di trenta minuti, poi le forze lo abbandonavano costringendolo a riprendere forma. Rendersi invisibile gli consentiva di sfuggire a occhi maligni e pericoli di ogni sorta. Fra i tanti quesiti e dubbi che aveva in testa c'era anche la domanda su come riuscisse a diventare invisibile. Comprendeva di aver bisogno al più presto di risposte. Trovò un piccolo angolo in cui si rifugiò, nutrendosi di bacche, rettili, roditori, a volte anche di qualche capra o cavallo selvatico, alberi da frutta o cactus con i loro tesori. Passava giorni e notti in attesa di qualche cambiamento, viveva in modo apatico osservando il tempo che trascorreva senza che lui potesse agire e fare qualcosa.

X° SEGRETODove le storie prendono vita. Scoprilo ora