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Passarono dieci anni,dieci lunghissimi anni da quell'ultima volta in cui vidi Jasmine,passarono anni ma il suo volto non spariva dalla mia mente,passavano i giorni ma lei non passava mai.

Il ricordo di quella notte,quella stramaledetta notte in cui mi lasciò,quella straziante scena dove lei piangeva e io che piangevo che piangevo perché non volevo lasciarla andare,perché l'amavo appassionatamente più di me stesso,più di ogni altra cosa al mondo.

Il suo bacio,il nostro ultimo bacio,il bacio più triste quello dell'addio,fu il più lungo nessuno dei due capace di staccarsi di interrompere quel momento,quella notte a Capri ci lasciammo.

Il giorno dopo ero ancora seduto sulla panchina sulla parte più alta della città, dove davanti si vedeva solo il mare,l'orizzonte infinito,ero ancora seduto incapace di elaborare tutto ciò che era successo nelle ultime 12 ore,inerme al caldo estivo chiunque non mi conoscesse avrebbe pensato che ero un qualunque ventottenne che aveva dormito fuori sulla panchina perché ubriaco non riusciva a tornare a casa,ma ero solo un povero ventottenne con il cuore spezzato che stava morendo nel suo dolore e che non voleva accettare che la sua ragazza l'abbia lasciato.

Quel giorno fu il proprietario del ristorante di fronte alla panchina a riportarmi a casa,nel silenzio più totale con lo sguardo comprensivo di chi ha vissuto anni prima la stessa cosa,era alla panchina che ci baciammo la prima volta dopo aver litigato, era lì che andavamo a passeggiare,era lì il nostro nido d'amore e quel signore aveva visto il nostro amore in tutte le Sue sfumature.

A casa,mi ricordo che appena tornai e il vecchio proprietario del Ristoranti la rosa rossa dopo essersi accertato che rientrassi a casa,se ne andò in silenzio lasciandomi una pacca sulla spalla,rientrai e un senso di vuoto,di oblio,di smarrimento si impossessò di me,iniziai a rompere qualunque cosa trovassi davanti a me,dai piatti alle foto,al televisore era l'unico modo che trovai per scaricare la mia rabbia,ruppi ogni cosa per poi scivolare contro la parete in un pianto silenzioso con la mano che sanguinava e la nostra foto in mano,piansi, Dio solo sa quanto piansi e per quanto tempo rimasi in quella posizione.

Qualcuno dei vicini aveva chiamato la polizia e non tardarono a sbarcare nel mio appartamento oramai pieno di cocci e vetri rotti,dopo aver terminato i loro controlli e le loro domande se ne andarono avevano contattato Federica,mia sorella perché potesse venire e quando anche lei entrò in casa rimase a bocca aperta non sapendo cosa fosse successo ma intuendo che era successo qualcosa di grave perché io scaricassi la mia rabbia sulla casa.

Non la dimenticai mai,il suo nome tatuato sul mio petto,Paris at night di Jacques Prévert tatuata sul braccio,il suo profumo che spruzzo ogni giorno in casa e sui cuscini,come per dirmi che era ancora lì che non se ne era andata che lei non mi aveva mai lasciato.

Provai a cercarla ma sembrava sparita,provai sui social network,chiamai i suoi amici ma nessuno sapeva dove fosse finita alcuni pure mi dissero che forse era partita per l'estero,altri che si era trasferita al nord,se una cosa era certa e che nessuno sapeva con certezza dove fosse finita tutti tranne Barbara Melis che non volle dirmi nulla,neanche la più insignificante delle informazioni e quando provai a insistere mi minacciò che avrebbe chiamato i carabinieri.

Avevo provato pure a spacciarmi per un suo fratello e chiedere informazioni all'università di Napoli ma non vollero darmele in quanto confidenziali,ero disperato così tanto disperato che andai pure al Vomero e bussai alla porta della sua casa,bussai allo sfinimento fin quando una vicina di casa evidentemente disturbato dal mio bussare forte o forse le avevo fatto pena uscì e mi disse che erano partiti per non so dove.

Povero illuso,si sarà detta.

Non volevo crederci,avrà sicuramente lasciato qualche traccia di lei,non può essersene andata via senza lasciare un indizio.

Invece si,era sparita lei e la sua famiglia quella dannata famiglia,quel dannato padre e quella dannata madre che me la portarono via,dannata religione.

Per quasi un anno evitai ogni interazione con persone al di fuori di mio padre,mia madre e mia sorella e per un anno non feci altro che fare l'ingegnere,lavorare progettare e chiudermi in casa circondato dal silenzio e dalle foto,l'unica cosa che mi rimaneva do quel noi.

Per sette anni non feci altro che schivare donne,e per sette anni mi chiesi se anche la mia baby schivava gli uomini o mi aveva sostituito.

Per otto anni non persi la speranza,per neanche un momento,e non mancavo di andare alla panchina ogni sera dove rimanevo seduto a fissare il mare per momenti lunghi.

Per nove anni ebbi l'impressione che ogni giorno ne durasse quattro e la mia speranza di rivederla stava lentamente scemando,cercavo di immaginare cosa le fosse successo e più volte l'idea che fosse stata lapidata,uccisa perché aveva amato al di fuori di un matrimonio,mi era passata per la mente.

Dopo dieci anni mi resi conto che l'amavo ancora,ma lei forse non mi amava più.

Al decimo anno Barbara Melis ruppe il silenzio dopo anni di mutismo,lo ruppe una sera di giugno dove io ero come sempre alla panchina mentre mi portavo una sigaretta alla bocca vidi il profilo di una donna arrivare, era Barbara che aveva il fiatone,immagino per l' impervia salita.

-hai già contattato la polizia sai in caso mai dovessi buttarti giù.-mormorai sarcastico mentre buttavo il fumo della sigaretta,mi guardò lasciandomi una fulminata.

-stronzo.-

-grazie.-

- devo parlarti,subito.-distolsi lo sguardo tornando a guardare le onde infrangersi contro gli scogli un po' come i miei sogni e le mie speranze.

Barbara non avendo ottenuto la reazione desiderata,sbuffò prima di fare il giro e piazzarsi davanti alla mia vista,disturbando la mia vista.

-lei è tornata,è qui.- nella frazione di un nano secondo il mio cervello ordinò di rilasciare una scarica di adrenalina,guardai Barbara accigliato.

-vattene e smettila di dire minchiate. - si poteva percepire una nota di collera nella mia voce, ma Barbara non mollò non si fece intimorire.

- Jasmine è tornata,è a Napoli.- ripeté la frase e io mi alzai in piedi sovrastandola con la mia altezza.

- dieci anni fa quando mi presentai a casa tua disperato tu hai taciuto e ora sei qui per dirmi che è tornata!-urlai ma non sembrò farle paura,mi guardò e dal suo sguardo vidi risentimento e senso di colpa.

- non potevo dirti dov'era,glielo avevo promesso,sapeva che saresti venuto a chiedermi di lei,me lo fece promettere prima di partire.-

-per dieci anni io l'ho cercata come un pazzo,ho cercato le fottute risposte quando tu ce l'hai sempre avute e ora ti sei decisa a parlare!- rabbia e dolore parlavano al posto di razionalità.

-per dieci anni ti ho tenuto d'occhio,per dieci anni ha telefonato ogni giorno per chiedere come stavi e per dieci anni ha sempre chiesto di te,per dieci anni io ho dovuto nasconderti la verità e credimi che non stavo bene con me stessa e mi facevi tanta pena e tenerezza quando venivi qui e rimanevi per ore,quando andavi in libreria a comprare i libri di Prévert e Baudelaire o dal fioraio ogni settimana per comprare i gigli bianchi o le rose rosse per non dimenticarla.-

Ciò che mi disse mi spiazzò,non si era dimenticata di me,ha sempre avuto mie notizie e ogni giorno,mentre io morivo dentro poco a poco e lei era via e non ha mai chiamato me,mori dentro per l'ennesima volta e Barbara che detestai per anni era l'unico mezzo che Jasmine aveva per sapere come stavo.

Non trovai parole,mi limitai solo ad allontanarmi da Barbara e camminare verso la mia macchina,troppo scosso,troppo arrabbiato.

Quella notte guardai la sua foto e sorridevo come un cretino, era tornata ma forse non per me,forse Barbara cercava di vedere come avrei reagito.

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