《 𒈒 》

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Ora: nove e mezza di sera

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Ora: nove e mezza di sera.
Giorno: Sette gennaio, 2020.
Lo sguardo puntato contro il soffitto
color panna della mia camera, sul quale erano dipinte di tanto in tanto delle piccole nuvolette azzurre.
Ero chiusa in quella stanza, a mio
parere fin troppo vuota, da ormai...
ore. Non sono neanche uscita per
rubare qualche avanzo dal frigo, o una
di quelle tante schifezze che racchiudo nella mia cara dispensa; tantomeno, non l'ho fatto per andare in bagno, non sentendone il bisogno. Il mio telefono era spento, non mi sono neanche degnata di accenderlo nel momento in cui ho aperto occhio stamattina, lasciandolo in questo modo inerme per l'intera giornata. E come avrò mai passato il mio tempo, in quel semplice e noioso, per non dire monotono, comune giorno d'inverno? Non ci vuole molto, per arrivarci, anche un bambino di nove anni lo capirebbe. Ovviamente, ho pensato, tutto il tempo, tutte le ore.
Cos'è che che mi ha tenuta però la mente così occupata a riflettere...?
La risposta è una sola e quella sei tu, Atsuko. Ripensavo ai vecchi tempi. Sembra trascorso veramente tanto dalla tua mancanza e, effettivamente, è proprio così, almeno per me. Saranno ormai due anni e, anche se agli occhi altrui possono sembrare relativamente poco, per me, ogni secondo che si sussegue, sembra durare sempre di più. A proposito... mentre rimembravo i ricordi che insieme abbiamo lentamente costruito, me n'è venuto in mente uno alquanto... Particolare.
La maggior parte delle persone mi... teneva lontana dalla loro portata, considerandomi un "pericolo": scontrosa, fredda, che se la tira, falsa.
Ma io... Non ero nulla di queste cose e l'unica che, in mezzo alla miriade di gente che si trovava in quel posto, l'aveva capito eri tu, Atsuko, che sei sempre stata al mio fianco. O meglio... Questo secondo me.
Tu eri un'appassionata delle arti: musica, arte, letteratura... Di tutto e di più, praticamente, eri veramente una giovane ragazza acculturata e di buon animo, sebbene agli altri sembravi anche fin troppo ingenua. Io invece ti consideravo... Troppo intelligente per la mia portata e, anzi, a volte mi sentivo in colpa, credendo che ti stessi rubando del tempo prezioso, che tu avresti tranquillamente potuto passare in compagnia di altre persone. Ero alquanto paonazza, su queste cose, durante la mia adolescenza. Questo perché, visto la solitudine che colmava le mie tristi giornate, non ero abituata ad avere... una persona al mio fianco, soprattutto se si trattava di una ragazza perfetta come te. Eri così carismatica, attraente, leale, onesta. Il tuo sorriso sopraffava tutti gli altri, essendo così raggiante e pieno di vitalità. Che però... Non si è mai spento, perché anche nel preciso istante in cui la tua vita è giunta al termine, sulle tue labbra esso spiccava, candido come non mai e quasi... Soddisfatto, sereno, calmo, come se avessi... completato la tua missione, finito ciò che avresti dovuto fare. E finalmente, ho capito qual era.
Ma ora, probabilmente sto divagando... Non ho ancora iniziato a parlare del ricordo di cui avevo accennato.
Da piccola, in seguito alla fine della mia infanzia, una data non precisa che mi sono assegnata io stessa, non ho mai... Compreso la bellezza delle arti che invece tu apprezzavi immensamente. Era forse perché eri poco più grande di me? Non credo, in fondo, tu hai avuto l'occasione per conoscerle e sperimentarle mentre io, da infante, le consideravo noiose e troppo sofisticate, per una persona semplice come ero io.
Ma tu, da quando mi hai incontrato, hai voluto farmi come da... maestra.
Una stanza, questa volta era davvero spoglia. Le pareti erano color caffè, caffè al latte. Erano ruvide, perciò all'interno del caffè vi era rimasto dello zucchero sul fondo. Il pavimento era in legno, legno d'abete per la precisione. Sul bianco soffitto era appreso un lampadario, uno simile a quelli che potevi vedere solo nei film, o nelle case di persone che possedevano veramente molta grana. L'unica cosa che però importava all'interno di quella camera apparentemente vuota, che da questo veniva abbellita, era un pianoforte.
Nero, come il carbone. Era composto da ottantotto tasti in totale.
Davanti ad esso vi era uno sgabello, anch'esso dello stesso colore dello strumento, il cui materiale era la pelle, pura pelle. Tu, con il tuo passo leggero, ti sei seduta su di esso, in modo composto, posando le mani sui candidi tasti dinanzi a te, iniziando poi a... suonare, una dolce melodia, che ad oggi mi è rimasta... in testa. Tu volevi insegnarmi, volevi farmi imparare ciò che non ho mai potuto fare. Tra queste, vi era appunto una delle tue più grandi passioni, ovvero il pianoforte.
Però... Ero fin troppo stupida per comprendere quanto potesse rivelarsi stupendo quello strumento. In passato, lo consideravo stupido e fin troppo difficile, preferivo di gran lunga qualcosa come la batteria, con cui potevo fare rumore e disturbare gli altri. Esso invece mi sembrava fin troppo armonioso, sereno, Pacifico. Ma ero ancora inconscia delle bellissime melodie che si potevano creare con questo, partendo da allegre sinfonie e concludendo con i terrificanti suoni acuti, spesso utilizzati come sottofondo di un film horror. Per questo motivo, spesso durante le tue lezioni, mentre mi cercavi di far capire quali fossero le note, le chiavi, la differenza tra i tasti bianchi e neri... La mia mente era altrove, in un mondo tutto mio, offuscata dai miei ridicoli pensieri inopportuni. Mi sbagliavo. Completamente. Nonostante fossi d'altra parte con il cervello, qualche cosa l'avevo anche imparata. Dopo la tua morte, mi sono ritrovata in quella stanza, da sola. Sul pianoforte, era poggiato un piccolo spartito, scritto a mano. La grafia era la tua, la riconoscerei ancora tra mille. Ti impegnavi così per facilitarmi l'insegnamento, in modo che potessi comprendere più facilmente... E te ne sono davvero grata, Atsuko. Perché è grazie a te se, oggi, continuo a coltivare quella che, da tua, è passata ad essere la mia passione.
Oggi, dopo essermi alzata dal letto, mi sono ritrovata nuovamente in quella stanza, davanti allo stesso pianoforte, dinanzi allo stesso spartito. E sono qui, per te, a dedicarti la canzone che ogni volta mi suonavi con le tue delicate e flebili dita.

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Trovo che questo capitolo sia
alquanto ridicolo, scritto male
e particolarmente... stupido, in
verità, ma non riuscivo a togliermi
dalla testa di scrivere qualcosa riguardo, appunto, l'amica di
Ophelia e quindi... Eccomi qui.
Ci tengo a precisare che non l'ho
riletto, in questo momento dovrei
studiare per una possibile interrogazione e gn-
spero apprezziate.

" 𝐓𝐇𝐀𝐍𝐓𝐎𝐏𝐇𝐎𝐁𝐈𝐀 " ︴𝙄𝙣𝙨𝙩𝙖𝙜𝙧𝙖𝙢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora