《 𝐋𝐨𝐬𝐭. 》

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Febbraio.
Uno dei mesi che la giovane ragazzina dai capelli castani più odiava. Il clima era così imprevedibile, misto tra la chiusura della fredda stagione invernale e l'arrivo dell'allegra ma piovosa primavera, amata da tutti insieme all'estate. D'altronde, chi non adorava quando giungeva il periodo caldo dell'anno? I sorrisi felici sulle facce di ogni bambino che correva spensierato per il parco, contento che in fin fine stava arrivando la fine di quell'edificio, da loro nominato come inferno, qual era la scuola.
In più, anche la natura risultava meravigliosa e piena di vitalità. Gli alberi le cui foglie erano cadute per settimane sarebbero tornati verdi e colmi di speranza, con i piccoli boccioli che crescevano, dando vita a molteplici fiori. La ragazza amava la primavera. Era la stagione che più le metteva tranquillità, senso di benessere. Il clima non era né troppo freddo né troppo caldo, mite, così come dev'essere. Il giusto quindi per rilassarsi senza preoccuparsi di congelare o sudare.

I colori, primi tra tutti, erano ciò che più adorava. Risultavano così vivaci e energetici, d'altronde, presente era il così considerato "felice" giallo, che spiccava nell'acceso Sole onnipotente, nascosto o meno, che giaceva sopra tutto. Era il suo colore preferito. Il suo significato era appunto la positività, perfettamente visibile da qualunque distanza, il giallo esprimeva gioia, luce.
Eppure, anche in un colore così semplice, la ragazza riusciva comunque a trovare un'estorsione. Difatti... Lo rappresentava come l'ansia. Avete mai pensato a quale colore si potesse attribuire una sensazione del genere? No? Beh, lei l'ha fatto. Difatti considerava tale emozione di questo colore, non vedendoci l'Unione di nessun'altro. Questa sua opinione però, ovviamente, si basava su un fatto del tutto personale. Ovvero il colore dei suoi occhi. E perché mai? Semplice. Erano di un colore Ambra, grano, splendidi come la luminosità del Sole. Eppure, nel momento in cui le pupille nere si tramutavano in una croce bianca, sia lei che l'interlocutore finivano per provare ansia, ovviamente solo se quest'ultimo era a conoscenza del... Dopo.

Ma non era questo, ora come ora, l'importante. Difatti, in quella strana giornata tiepida, con la pioggerellina che delicatamente ricadeva sul freddo cemento, la giovane donna era in movimento. Si trovava su un lento treno, diretta verso casa. Difatti quel giorno la voglia di camminare era pari zero, pertanto, nonostante non fosse lontana dalla destinazione, aveva comunque preso la briga di sprecare del denaro per utilizzare il mezzo di trasporto. La testa era posata sul freddo e opaco finestrino del macchinario, sul quale ricadevano velocemente le "lacrime del cielo", facendole per un istante venire in mente un inutile ma impresso ricordo dell'infanzia nel quale, quando pioveva, controllava quale goccia di pioggia avrebbe raggiunto prima il fondo della finestra. Infantile come situazione, ma in quello stesso momento, ora tornatogli in mente, si era messa a pensare lo stesso. Ironico come quello fosse uno tra i pochi, se non unici, bei ricordi futili che aveva della sua gioventù, non essendocene poi tanti, quasi rari.

E...
tenuto delicatamente e con una presa quasi innaturale, tanto la stretta era flebile e "gentile", tra le sue mani vi era un piccolo mazzo di rose scarlatte, decorato con nastri di svariati colori vivaci e accesi, tra cui lo stesso giallo. Per questo era uscita di casa in quella particolare giornata, così piovosa e differente. Difatti quello era il giorno in cui aveva fatto per la prima conoscenza di una persona un tempo a lei speciale, che con il tempo aveva però conseguito un significato negativo, ma non al punto di essere dimenticato. Anzi, per quel giorno strano, le rose di quel rosso così opaco e scuro rappresentavano non passione o amore, ma dolore, sofferenza, rabbia. Sentimenti che provava nei confronti di una persona da tempo ormai fuori dalla sua vita, ma che continuava a rimembrare come per rimediare ai suoi sbagli, partendo dal loro stesso incontro. Ma essendo per una persona che non vedeva più, dove finivano? Ovviamente, li avrebbe tenuti in casa. D'altronde, viveva in un gran appartamento moderno nel quale, se non il giorno di Natale, non vi era un pizzico di colori o di verde, di natura. Ci teneva quindi così, anche per compensare il tutto, a decorare la casa con quel simbolo per lei, e per nessun'altro, riconoscente.

Con il capo sottostante al finestrino, socchiuse gli occhi, distraendosi per un attimo dalle gocce che scendevano velocemente sul vetro, immersa nei pensieri. A volte ripensava a ciò che sarebbe potuto succedere se il giovane, di cui un tempo era follemente innamorata, non avesse mai causato quel... Casino. Chissà dove si sarebbe trovata, felice o meno? Chi lo sa. Ma da un lato, trovava confortante il fatto che tutto ciò fosse avvenuto. Difatti, aveva fatto la conoscenza di persone fantastiche che ogni giorno dimostravano di volerle bene, a modo loro, con le quali si sentiva a proprio agio e riusciva ad essere felice... Veramente. Era come se per la prima volta dopo tanto tempo tutte le insicurezze e le paranoie le fossero scivolate di dosso, proprio come la pioggia faceva sulla finestra. Era finalmente... Spensierata. Si sentiva bene con sé stessa, in un giorno del genere, senza paure o preoccupazioni, ormai senza alcun desiderio, se non quello di passare la propria vita con le persone a cui teneva di più. Ma furono proprio questi pensieri innocui che le fecero perdere la concezione del tempo, così come dei propri movimenti. Le porte del treno da qualche minuto fermo si richiusero di scatto, facendola risvegliare dalla propria mente. Dannazione! Aveva perso la fermata! Ecco cosa succede quando non si pensa a nulla, neh? Si sarebbe dovuta fare un altro tratto di strada... Beh, menomale che almeno aveva preso l'ombrello.

Non volendo quindi rifare lo stesso errore, la ragazzina si alzò dal sedile su cui era comodamente adagiata, tenendo in una mano le rose, mentre nell'altra il piccolo ombrellino nero che si portava ovunque. Non avrebbe perso pure l'altra discesa! Ed ecco che alcune preoccupazioni ritornavano a galla, sebbene lievi. O almeno... Inizialmente.
E perché mai? Infondo, si era solo dimenticata di scendere da un piccolo treno, non vi era nulla di strano.
Eppure... tutto il panico le salì per la gola non appena, dal momento che alzò lo sguardo dal pavimento, incrociò gli occhi di colui che non avrebbe voluto più rivedere.
Uno dei due era grigio, mentre l'altro era... Particolare, simile a quelli di un caro amico. La sclera nera, mentre l'iride di un rosso sangue, che spiccava a prima vista. Sulle labbra poco carnose il sempre presente sorrisino viscido e malizioso. Il completo elegante nero, con tanto di cravattina  scarlatta, ordinato come se stesse andando a lavorare chissà dove.
Il mazzo di fiore tanto curato che teneva tra le flebili dita ricadde con un debole tonfo sul mezzo in movimento, mentre gli occhi Ambrati della ragazza quasi si riempivano di lacrime. Ma queste non erano né di gioia né tristezza, bensì... Panico. Solo panico. Ansia. La stessa di cui prima aveva parlato. Il solo incrociare lo sguardo di quell'essere l'aveva fatta sentire così... pressata. Come se un masso le fosse appena ricaduto sulla schiena, facendola così strisciare sul pavimento.
Una voce roca, profonda, parlò.
« Ciao... Ophelia. »

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ᵢ fₒᵤₙd ₐ ₘᵤcₕ dₑₑₚₑᵣ ₜᵣᵤₜₕ
ₐₙd ᵢₜ ᵢₛ fᵣₒₘ ₜₕₑₘ,
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" 𝐓𝐇𝐀𝐍𝐓𝐎𝐏𝐇𝐎𝐁𝐈𝐀 " ︴𝙄𝙣𝙨𝙩𝙖𝙜𝙧𝙖𝙢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora