Era una normale mattina di novembre: la solita nebbia che faceva sembrare tutto più tetro, l'aria fredda e tagliente che ti scottava le guance, il fruscio delle foglie mosse dal vento e il suono della ghiaia calpestata da quei soliti scarponi invernali.
Non c'era anima viva, letteralmente, come sempre, solo io.
Stringevo i pugni dentro le tasche del piumino per tenermi caldo e osservavo, una a una, le insegne contornate da piante ormai appassite, fino a che non arrivai a quella che realmente mi interessava: marmo bianco e lucido, scritta dorata, fiori viola; mi faceva arrabbiare che fosse così uguale alle altre, così monotona e superficiale: tutto il contrario di lei.Quella mattina, contrariamente a tutte le altre, c'era un uomo nel vialetto dov'ero, era a suo agio, era chiaro che andava lì da molto più tempo di me. Mentre cambiavo i fiori mi guardò, e capì subito, dalla mia faccia e dall'insegna evidentemente nuova, la situazione.
Com'era la mia faccia? Avevo gli occhi contornati da occhiaie violacee, la faccia stanca e i capelli arruffati e sporchi. Nulla che non fosse la normalità.
Scorsi sul suo viso compassione e dispiacere, poi fece un sospiro, rivolgendomi l'ultimo sguardo, e se ne andò.Guardai l'orologio: 7.30.
Avevo perso il treno.
Poco importava, a me, ma non a Jisoo: uscii e la ritrovai all'ingresso a braccia conserte, pronta a farmi la predica da madre.
"Jennie."
"Dimmi." dissi indifferente.
"È la quarta volta che perdi il treno in una settimana, ora basta! A scuola non aspettano i tuoi comodi, e se hai tutti questi ritardi poi finirai bocciata!"
"Non importa."
"Certo che importa! Devi renderti conto dei rischi che corri!"
"Lo so cosa rischio."
"A me non sembra, Jennie, proprio per niente."
"Anche se fosse? Non mi interessa più nulla ormai, la vita è un'egoista completa e non ha spazio per la mia felicità, solo per ingiustizie, quindi che cazzo me ne frega se mi bocciano o no? Dimmelo, cosa me ne frega?". Ero scoppiata, come sempre. Piangevo, di rabbia, di tristezza, di delusione.
"Senti scusami, vieni: andiamo a casa." mi abbracciò e mi baciò la testa, poi mi prese sottobraccio e in silenzio raggiungemmo casa sua.Bevvi una tisana, dormii un po' e mi calmai. Dopo qualche ora Jisoo si sedette sul letto accanto a me, mi baciò e poi mi prese la mano.
"Jennie io..." cominciò.
"Cosa?"
"...io credo che dovresti lasciare Jiu da sola per un po', per schiarirti le idee ecco."
Sapevo che lo pensava, ma non che si sarebbe mai azzardata a dirlo.
Mi misi seduta di scatto: "Che cosa hai detto?".
Jisoo replicò sottovoce: "ti farebbe bene non andare al..." si bloccò: sapeva che odiavo che si pronunciasse "...non andare là per qualche tempo, non credi?".
"Stai scherzando?"
"No, Jen."
"Allora non capisci proprio un cazzo!" gridai.
Quella era una bomba atomica, e non doveva essere lanciata.