L'arpia

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La luce entra violenta da una finestra, il ticchettio dell'orologio si fa sfumato nella mia testa, davanti a me si estende un'oscura pianura per poi trovarmi davanti ad una scogliera tempestosa. 
-Alberghini.-              
Una voce interrompe i miei pensieri, mi alzo e mi giro verso essa, una signora mi guarda interrogativa, non posso che annuire. Con il cenno della mano mi dice di seguirla, ributto uno sguardo al quadro che stavo guardando.
-Che brutta cornice... -  Penso.
In men che non si dica mi ritrovo seduta davanti ad una donna dalle labbra sottili che non sembrano aver mai sorriso.
-Vediamo...- Mi guarda i capelli.
-Medea Alberghini.- La interrompo, vedendo la sua controvoglia nel cercare il mio nome nelle carte accanto alle sue mani più simili ad artigli cremisi.
-Sembri una ragazza che non sa tenere la lingua a posto. Facciamo così, io non ti chiederò nulla, inizia tu da dove vuoi. Prego.-
Gratto un poco la pelle della mia cintura rovinata, serro le labbra, ma poi le rilascio iniziando a perdermi fra le rimembranze.
Ho la gola molto secca, le gambe iniziano a tremarmi, come del resto tutto il mio corpo. Ho una forte euforia addosso.
-Secondo te quindi gli piaccio?- Dice Elena portandosi il Joint alle labbra.
-Secondo me molto. - Sorrido rassiculandola mentre guardo il suo profilo.
È sera e siamo sedute fuori dalla macchina a guardare il cielo che cambia colore.
-Certo che potrebbe essere anche un po' meno freddo!-  Esclama passandomi il mozzicone per poi pettinarsi con le dita affusolate la capigliatura bionda.
Io ed Elena siamo state compagne di classe al liceo, ma siamo diventate amiche solo all'ultimo anno. Adoro stare in sua compagnia.
Una voce roca e sprezzante squarcia il mio ricordo.
-Parlami di Elena.-  Dice la signora De Luca, almeno era questo il nome che avevo letto sulla porta del suo studio prima di entrare.
Apro gli occhi, la grossa cornacchia rossa è ancora davanti a me.
-Elena...-  Ticchetto le unghie sul bracciolo della mia sedia.
-Alberghini se non collabori non ti posso aiutare.-  Sembra voler gettare la spugna finalmente, tanto prima o poi gettano tutti la spugna con me.
-Preferisci parlarmi di Eros?- Pronunciato dalla sua dannata voce toglie tutta la bellezza nel suo nome, come una rosa che perde i petali, ma sentire quel nome mi scuote comunque. È un nome che significa "casa" nella mia vita.

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