DRESSED TO KILL.

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La sveglia suonò alle 6.30 come una tromba da accampamento napoleonico, mentre il rumore della caffettiera mi rivelava con dolce fermezza che era l'ora di alzarmi.

Il sole era già alto e la città rigurgitava quell'ammasso di benzina, plastica e poco amore fraterno chiamato confidenzialmente traffico.

Con una mossa decisa saltai giù dal letto, nella mia classica tenuta da notte: pantaloni del pigiama con virile fantasia a mongolfiere e magliettona della salute anni novanta taglia "lenzuolo".

Trassi un profondo respiro, pronto alla consueta serie di flessioni. Ad occhi chiusi mi lasciai cadere in avanti, le mani pronte a fermare la caduta e iniziare la pompata dei muscoli mattutina.

Dopo aver bloccato la perdita di sangue dal naso dovuta all'urto con il pavimento, mi infilai sotto la doccia e mi cosparsi di sapone alla cannella, olio di semi di radici di Alce.

Mi passai il filo interdentale come un esperto ninja muove i suoi nunchako, poi rischiarai la gola con il collutorio allo zenzero: provai alcune frasi, per modulare la voce:

Ciao. (tono pacato da gentiluomo del Midwest.)

Scusa, hai un temperamatite? (leggera apertura delle consonanti, curando la dizione, enfasi sulla parola temperamatite).

Proust, eh? Lettura appagante... (inarcando ad arte un sopracciglio).

L'armadio si aprì come l'antro dei quaranta ladroni, mentre individuavo il look migliore. Il mio armamentario per la giornata:

1) Jeans. Senza strappi, ma col trattamento, per sembrare uno che non fa caso alle mode ma che si impegna per figurare;

2) Cachemire nero. Da intellettuale: l'attillato che serve valorizzare le spalle e il nero che è necessario per nascondere il grasso.

3) Cappotto nero. Elegante ma poco costoso, che individua subito l'uomo che ha buongusto ma che sa anche fare economia. Ovviamente l'ha comprato tuo padre per se stesso, ma tu glielo hai chiesto in prestito per una settimana Plutoniana.

4) Per finire: Sciarpa. A fantasia viola e scala di grigi; che per uscire con gli amici a sbronzarti in una taverna non metteresti mai, ma che fa molto uomo che non ha paura di esibire qualcosa di originale.

5) Scarpa nera. Mocassino poco impegnativo. Mai, dico MAI, usare scarpe da tennis.

Afferrai la mia borsa di pelle (l'etichetta "similpelle" era stata artatamente scolorita dopo l'acquisto, come la scritta "Made by Thailand slaves") con dentro i libri di studio, qualche quaderno con delle citazioni prese da vari autori, e la bottiglietta d'acqua.

Inforcai gli occhiali da sole (RayBan: non passa giorno che non benedica Tom Cruise per averli resi immortali) e mi avviai verso la biblioteca.

A questo punto molti di voi avranno già pensato che manchino delle pagine, perché vi starete certo chiedendo: perchè un tizio spreca tanto tempo a curare il proprio aspetto solo per andare in biblioteca a studiare?

No, no e no!

La Biblioteca del Corpo Basso di Lettere (sempre sia lodata) è piena di donne. Donne, che al novanta per cento sono lì a studiare o a fare ricerche.

E sono ... sole, spesso sconfortate dalla mole di studio che devono affrontare, con davanti libri che nemmeno vogliono leggere.

È il momento giusto per offrire loro la mia presenza rassicurante, pacata; il mio tono di voce rilassato, e qualsiasi altra cosa serva a iniziare una conversazione, che magari sarebbe continuata a cena, e poi chi sa ...

Non ero più la matricola che aveva consegnato il piano di studi. Ero uno studente del secondo anno. Esperto, distaccato, con libretto degli esami già spiegazzato.

Certo, non avevo una donna, e dormivo con una action figure diversa ogni notte, ma ero comunque uno del secondo anno. 

Quando sei uno studente del secondo anno, una cosa importante era comunicare la tua sicurezza, quando arrivavi.

Quindi arrivai a cavallo della mia fida motocicletta (un vecchio Metropolis bianco comprato a sedici euro da un venditore di quarume) fischiettando: "Oh, When the Saints".

Sorridendo, con una sola mossa spensi il motore e tirai il freno.

Continuai a sorridere anche quando la moto si fermò completamente con ancora me sopra; e anche quando, grazie alla fisica, cominciò a inclinarsi da un lato (sempre con me sopra).

Riuscii a raddrizzare il veicolo, sempre sorridendo, cavandomela solo con un'ernia.

Avevo il vento a favore, quindi sbottonai il cappotto, consentendo a Eolo di sollevarne i lembi in una classica entrata alla Matrix.

Il tintinnio delle monete da cinque centesimi che mi cadevano dalle tasche mi accompagnò per tutto il tragitto, fino alla porta; come un jingle personale.

Entrai con decisione, poi lasciai la porta; la ripresi al volo, senza girarmi, e la tenni aperta mentre una ragazza avvolta in un morbido maglione viola mi sorrideva dolcemente.

- Grazie mille. Coi libri in mano non potevo aprire.

Lo sapevo. L'avevo vista quando avevo parcheggiato. Avevo pure accelerato per entrare prima di lei.

Le dedicai uno dei miei sorrisi più sicuri e amichevoli.

- Prego. È un piacere.

Frasi brevi, che suonino sincere. Mai, ripeto mai, fiocchetti o battutine con una ragazza che non ti conosce.

Proseguii, lasciando la porta, che si richiuse sul setto nasale un ragazzo con ancora lo zaino della quinta elementare e una tuta sportiva di acetato.

Studente di ingegneria, senza dubbio. Non una grande perdita.

Salii le scale e arrivai davanti la porta di quello che era, da qualche anno a questa parte, il mio piccolo regno:

La sala di Lettura.

Diedi due colpi di tosse per schiarire la voce. Controllai che la patta dei pantaloni fosse chiusa. Levandomi gli occhiali da sole, spinsi la porta.

Ed entrai.

LA BIBLIOTECA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora