IL MIRACOLO.

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Cominciai ad esternare la mia depressione, contando da quanti giorni non avevo chiesto ad una ragazza di uscire (dieci, escluse le domeniche).

Arrivai davanti alla porta della Sala di Lettura ormai convinto a prendere i voti, ed iniziare una nuova vita come servo del Signore. Forse come esorcista.

Mi sedetti mestamente, e col capo chino di vergogna mi riversai sul libro, leggendone però soltanto qualche parola, a saltare.

Il secchione accanto a me cercò di guadagnare spazio per i libri, ma bastò una mia occhiataccia per ricacciarlo dentro i suoi confini.

Lo guardai come uno specchio deformante.

Non potevo ridurmi in quel mondo.

La porta si aprì e tutti i colori della primavera entrarono nella biblioteca.

Ariel era lì, ancora sofferente come era stata là fuori, ma bellissima e algida anche in quello stato. Sebbene fosse una severa violazione del codice dei maschi alfa, non potei staccarle gli occhi di dosso, fino a quando non si sedette accanto a me, nel posto del mio nuovo nemico, l'Assente.

Ci misi più o meno lo stesso tempo che state impiegando voi a capire che Ariel si era seduta al posto dell'assente, perché Ariel ERA l'assente!

Ero seduto accanto ad Ariel!

Mi trattenni dal chiedere al ragazzo seduto di fronte a noi di scattarmi una foto ricordo col cellulare.

Ariel mi passò l'accendino.

- Scusa, non volevo prendertelo, ma è un brutto momento - mi sussurrò gentilmente.

Mi ricordò la brezza del mare che avevo ascoltato la prima volta che ero andato a dormire alla casa dei miei nonni sulla scogliera.

- Non preoccuparti, è solo un accendino. Spero che tu stia meglio adesso.

Mi avvicinai, cercando di sembrare disinvolto. Ero rilassato come un uomo aggrappato ad un filo per stendere con sotto cento metri di strapiombo.

- E poi ho fatto una battuta così brutta che è anche meglio che tu non l'abbia sentita.

Lei sorrise, vergognandosi subito per aver fatto troppo rumore.

- Allora meglio così.

- Posso offrirti un caffè alla prossima pausa? Ne hai bisogno, e io devo rimediare alla pessima battuta.

Lei alzò le sopracciglia. Non se l'aspettava. Ma sorrise. 

- Ne ho davvero così bisogno?

- No. Sì.

Nel mio cervello rividi gli ultimi secondi in replay.

Tutto normale.

Tutto assolutamente semplice.

Di solito la strada del single incallito che colleziona storie d'amore era irta di ostacoli e insidie. Invece a domanda, stavolta, era arrivata risposta.

Con Ariel.

Impensabile. 

Mi trattenni dal chiedere al ragazzo seduto di fronte a noi di scattarmi una foto ricordo col cellulare.

Ariel mi passò l'accendino.

- Scusa, non volevo prendertelo, ma è un brutto momento - mi sussurrò gentilmente.

Mi ricordò la brezza del mare che avevo ascoltato la prima volta che ero andato a dormire alla casa dei miei nonni sulla scogliera.

- Non preoccuparti, è solo un accendino. Spero che tu stia meglio adesso.

Mi avvicinai, cercando di sembrare disinvolto. Ero rilassato come un uomo aggrappato ad un filo per stendere con sotto cento metri di strapiombo.

- E poi ho fatto una battuta così brutta che è anche meglio che tu non l'abbia sentita.

Lei sorrise, vergognandosi subito per aver fatto troppo rumore.

- Allora meglio così.

- Posso offrirti un caffè alla prossima pausa? Ne hai bisogno, e io devo rimediare alla pessima battuta.

Lei alzò le sopracciglia. Non se l'aspettava. Ma sorrise. «Ne ho davvero così bisogno?»

- No. Sì.

Nel mio cervello rividi gli ultimi secondi in replay.

Tutto normale.

Tutto assolutamente semplice.

Di solito la strada del single incallito che colleziona storie d'amore era irta di ostacoli e insidie. Invece a domanda, stavolta, era arrivata risposta.

Con Ariel.

Impensabile.

- Bene – fu il massimo che riuscii ad elaborare. Il tono era quello di Robocop.

Illuminato da questo incredibile evento, questo miracolo, sfogliavo le pagine automaticamente, mentre la mia mente vagava libera, disegnando trame meravigliose che partivano tutte da un caffè insieme.

Una voce balbettante e insicura si rivolse a me.

- Scusa, potresti insomma, scusa ... prestarmi la matita?

Il secchione alla mia sinistra indicava ripetutamente la mia portamine. Rimasi a fissarlo per un attimo, dubbioso sull'opportunità d'acconsentire ad un contatto con un nerd di quella specie.

Ma ero euforico, felice e mi sentii generoso.
In fondo era un contatto minimo.

Gli porsi la matita, spostandomi sulla sedia, facendo in modo che Ariel vedesse la mia magnanimità.

- Accomodati.

Quel ragazzo si illuminò in volto, come se qualcuno gli avesse appena porto una spada laser.

- Grazie! Molto obbligato!

Impugnò la matita, soppesandone la fattura.

Un ingegnere, ve l'avevo detto.

Poi mi guardò in volto, scrutandomi negli occhi con un'intensità quasi preoccupante.

Commisi l'errore fatale di non voltarmi subito.

- Abbiamo gli stessi occhiali - esclamò felice, e non ci fu uno degli studenti lì dentro che non lo sentì. - Fortissimo!

Lo guardai meglio, con gli occhi sgranati.

In effetti, I miei occhiali erano identici ai suoi.

Una tragedia. 

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