Dicembre

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Rebecca aveva accusato il colpo di quella sera, le sembrava che si fosse rotto qualcosa in quella trama di pochi fili che era stata la sua amicizia con le nuove compagne. Le vedeva, ci parlava, cazzeggiava con loro fuori dalla biblioteca facendo finta di fare lavori di gruppo, dava ripetizioni alla Lucy e alla Jasmy che erano a dir poco orrende in matematica. Tuttavia si sentiva come appoggiata tra di loro momentaneamente, in attesa di essere ricollocata in un luogo diverso, in attesa che non ci fosse più bisogno di ripetizioni, che venissero cambiati i gruppi delle ricerche o cose simili.

Con Luna non si cagava quasi, e sarebbe bastato contare in quante delle sue storie era presente per capire che il cambio di vento era stato repentino. Nessuna delle due forse, ad una precisa richiesta, avrebbe saputo dire esattamente perchè si stavano cordialmente evitando, ma quello stava succedendo e tutte e due sapevano perfettamente da dove era partita questa situazione.

I giorni erano passati simili a loro, soprattutto per Rebecca, con sabati tappata in camera a guardarsi delle serie TV, prendendo poca aria, rifilando qualche pacco. Marco mandava immagini di abbigliamento chiedendo consigli in vista del natale, lei glieli dava svogliatamente, cercando di tagliare un po' corto.

I genitori di Rebecca non si curavano più di tanto di questa inversione di marcia. Erano persone che volevano bene alla propria figlia ma non la assillavano di domande sulla scuola e le amicizie, erano convinti che fosse normale nella figlia l'alternarsi di periodi in cui non vedeva l'ora di uscire e altri in cui spostarla dal divano era impresa titanica.

Luna dal canto suo cercava faticosamente di riannodare la questione sentimentale con il suo amato Kevin. Proprio quelle frasi taglienti che le aveva detto l'amica in bagno l'avevano spinta ad agire, a riprovarci, a cercare di superare l'ansia. E si erano riavvicinati, più che altro per merito di Luna che aveva messo in atto tutte quelle superbe tecniche di «incontro casuale.» che le suggerivano le amiche. Ed al ragazzo non pareva vero riaverla, e ricominciare doveva aveva bruscamente interrotto un anno e mezzo prima.

Eppure la vicenda era troppo carica di ricordi negativi per essere completamente rimediata. Era diverso il valore che i due associavano a quella storia, ed il fatto che ognuno la vedesse alla sua maniera li portava a litigare continuamente.

Kevin, per Luna, era quello che c'era prima ma non era più quello che era prima, erano successe tante cose, i corpi erano cambiati, ma lei non voleva prendere in considerazione questo, preferiva vederlo come lo vedeva prima, ignorando la sua crescita, considerandolo come la scorciatoia per tornare all'estate dell'anno prima in cui lei iniziava a staccarsi dall'infanzia in una maniera che le sembrava magica. Sembrava volesse vivere l'anno e mezzo che mancava piuttosto che voltare pagina e mettersi in testa che ormai quello era acqua passata e che loro due erano persone diverse ma ugualmente attratte.

Si, perchè Luna era attratta da Kevin che aveva sempre quello splendido viso leggermente allungato, quei capelli dalle ciocche quasi bionde, quegli occhi castani che si allargavano a dismisura come due estati prima quando le mani correvano sulla pelle di Luna.

Ma Luna, per quanto volesse riviverlo con lui, quell'anno e mezzo lo aveva vissuto e quel flirtare con ragazzi più grandi le veniva puntualmente rinfacciato da Kevin che reclamava cose che lei non si sentiva di dare, lei gli ripeteva che nessuno aveva il valore che aveva lui, nessuno poteva starle vicino come lei avrebbe voluto le stesse lui, ma era complicato, molto complicato.

Kevin era un ponte, ma voleva un pedaggio. Kevin era diverso da come lei si faceva la violenza di credere. E Kevin aveva già subito un abbandono da lei, per cui qualsiasi gesto di lei era passato al microscopio della delusione passata.

Quante volte mentre le ragazze studiavano, o fingevano di farlo, Luna era schizzata fuori a beccarlo, ma lo faceva per discuterci, litigarci in maniera fin troppo veemente per essere in mezzo ad una piazza pedonale dove la gente andava e veniva. Lo guardava con un sguardo di stupore, come se sentisse una voce diversa da quella che aveva sempre associato a quel corpo, si rigirava furiosamente il cellulare nella mano. Poi rientrava, sconclusionata, arrabbiata, con gli occhi arrossati, con le unghie che grattavano la superficie dei tavoli e sfilacciavano i jeans tagliati sul ginocchio.

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